Inaugura oggi alla Galleria Civica "Ciò che vedo": la figurazione (con due giovani bravi trentini)

di Fabrizio Franchi

È un’esperienza da vivere la nuova mostra della Galleria civica in via Belenzani a Trento che sarà inaugurata stasera: "Ciò che vedo. La nuova figurazione in Italia". La mostra, curata da Alfredo Cramerotti e Margherita de Pilati, mette sotto la lente quattordici artisti, con una quarantina di loro opere che esprimono atmosfere sospese. Tra di loro anche due importanti artisti trentini, Annalisa Avancini, 47 anni, con i suoi corpi che invadono la tela e le pennellate nervose e corpose e il giovane Andrea Fontanari, 24 anni, con le sue grandi tele che impediscono allo sguardo di percepire l’intero.

È una mostra a suo modo notevole, da vedere e godere, perché fa emergere una nuova tendenza dell’arte con un recupero della pittura figurativa di altissimo livello. La precisione dei colori, i colpi di pennello, le imperfezioni anche, più o meno evidenti, tipiche dell’arte figurativa, con quadri e soggetti iperrealistici che rendono vieppiù un’esperienza notevole quella in Civica a Trento - struttura legata al Mart - aiutati anche dalla scelta di non affastellare inutilmente quadri e dipinti, ma di lasciare spazio tra le opere, volutamente selezioniatissime, a voler dare spazio alla riflessione. Uno dei curatori è Alfredo Cramerotti, 52 anni, trentino eppure sconosciuto alla maggior parte dei trentini, perché questa è la sua prima curatela in città. Da quando se ne è andato, alla fine degli anni ’80 per girovagare per l’Italia e l’Europa, trovando poi un ruolo da direttore in Galles, nove anni fa, al Mostyn di Llandudno, cittadina deliziosa nel nord, affacciata sul mar d’Irlanda.

Cramerotti, al Mostyn fa il manager?
Sono direttore e curatore. Il mio cda mi ha lasciato lo spazio e la libertà per fare due mostre all’anno, anche fuori dal Mostyn. Così ho fatto il curatore indipendente anche alla Biennale, a Manifesta in Spagna, in Islanda. Anche perché è importante capire che cosa succede nel resto d’Europa.
Ora la mostra alla Civica. È un suo ritorno a casa.
Sì, è la prima volta che curo una mostra nella mia città d’origine.
E il senso di questa mostra?
È fare capire che l’arte contemporanea è un sistema per discutere la società di oggi. La figurazione pittorica, in un’epoca di immagini digitali, dimostra la sua validità. Quando abbiamo pensato alla mostra io e Margherita De Pilati abbiamo voluto individuare questi autori, che non sono degli emergenti, ma diversi di loro già affermati e che propongono lavori interessanti. Il nostro è un progetto più lungo.
Cioè ci saranno altri momenti?
Nei nostri piani ci sono tre momenti. Questo che andiamo a inaugurare, con una pittura quasi iperrealista. Un secondo capitolo impressionista e un terzo capitolo in cui mettere in relazione la figurazione pittorica con il digitale, penso ad esempio all’utilizzo dei videogame.
E i tempi di queste altri due progetti?
Direi un paio di anni. L’idea in generale è rendere quella che io definisco la “resilienza adattativa”. Un concetto che volevo mettere in relazione alla pittura, per capire come questa adatta i canoni esterni e li trasforma.
Sempre con uno sguardo alla pittura figurativa...
Di questo sono convinto. Se chiedete, non troverete un artista a cui non piaccia la pittura. La pittura assorbe i canoni estetici contemporanei, la pittura li recepisce e li ripropone su una tela e lo spettatore riconosce quei codici estetici perché sono quelli in cui è immerso.
L’arte in passato ha puntato sul ritratto, oggi l’arte contemporanea non lo fa, se non utilizzando i selfie, il digitale...
Ma anche nella mostra c’è un recupero del ritratto. Qui c’è un momento di riflessione prezioso, perché io vedo una pittura figurativa che recupera il rapporto tra idea e azione. Un tutt’uno tra pittura e azione.
Possiamo dire che c’è un ritorno della pittura figurativa, rispetto a una arte concettuale esasperata?
Certamente. Io penso a quello che è successo con la musica, con la smaterializzazione dei supporti e la crescita dei concerti che cristallizza una comunità di interesse. Può essere un parallelo con la pittura, perché si ripropone una comunità di interesse. Lo spettatore ha bisogno di vedere le tele, sentire gli odori delle pitture. La pittura figurativa corporizza questo desiderio. E del resto se ci pensate il ritratto da secoli è specchio sociale.
In questi quadri che saranno in esposizione alla Galleria civica, vediamo una grande qualità tecnica. È la nuova cifra stilistica?
Sì, c’è una grande attenzione alla parte fisica del processo creativo. Artisti che nel momento in cui lavorano aprono un processo creativo che pone grande attenzione materica. Penso a una artista britannica, come Anj Smith i cui quadri sono paragonabili a delle miniature seicentische ed esprimono una attenzione esasperata al dettaglio.
Quindi l’arte come lavoro metodico e non improvvisazione creativa?
Esatto. Anj Smith lavora metodicamente otto ore al giorno. Nessuna sregolatezza.
Sono atteggiamenti e metodi che segnano anche un cambio di passo nel mondo dell’arte?
Lo spero proprio. Ne emerge anche l’identità specifica della pittura figurativa. E anche dal punto di vista del mercato vediamo che il figurativo è in crescita. Questa dinamica è molto più evidente che in altri ambiti dell’arte. Penso anche alla crescita che stiamo notando nell’arte tessile e nella ceramica in cui anche la tecnica gioca un ruolo fondamentale. Si credeva che certe produzioni fossero confinate all’attività artigiana e invece hanno una loro potenza creativa. E quando vediamo opere di una certa valenza vediamo anche che la gente non ha paura.
Insomma, torna in gioco la comprensibilità e l’accessibilità dell’arte?
Certo. La comprensibilità e l’accessibilità a quei canoni estetici di cui parlavo prima, che non fanno paura, ma mandano messaggi capibili anche dal grande pubblico perché li riconosciamo. Perché ci siamo immersi. E gli artisti che abbiamo in mostra sono artisti seri che usano un approccio importante. Con Margherita de Pilati proponiamo artisti che sono in gran parte già affermati, non artisti che stanno cercando di emergere.

IN MOSTRA - Sono 14 gli artisti selezionati per «Ciò che vedo» da Margherita de Pilati, responsabile della Galleria Civica di Trento, e da Alfredo Cramerotti, direttore della Mostyn contemporary art gallery. Si inaugura alla Galleria civica questa sera alle 18 e apertura della mostra fino al al 24 maggio. I 14 artisti in mostra sono: Giulia Andreani (Mestre, 1985), Elisa Anfuso (Catania, 1982), Annalisa Avancini (Trento, 1973), Romina Bassu (Roma, 1982), Thomas Braida (Gorizia, 1982), Manuele Cerutti (Torino, 1976), Vania Comoretti (Udine, 1975), Patrizio Di Massimo (Jesi, 1983), Fulvo Di Piazza (Siracusa, 1969), Andrea Fontanari (Trento, 1996), Giulio Frigo (Vicenza, 1984), Oscar Giaconia (Milano, 1978), Iva Lulashi (Tirana, 1988), Margherita Manzelli (Ravenna, 1968).
Orari della galleria: da martedì a domenica dalle 10 alle 13 e dalle 14 alle 18. Lunedì chiuso. Biglietto 2 euro, gratuito bambini fino a 14 anni.

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