Maraniello saluta il Mart «Un grazie al Trentino»

di Fabrizio Franchi

Un gentleman saluta il Trentino. È il riassunto di un'ora e mezza di colloquio avvenuto - rigorosamente in teleconferenza - tra alcuni giornalisti e Gianfranco Maraniello che da oggi, non è più il direttore del Mart. Maraniello si è confermato un signore d'altri tempi ringraziando a lungo Rovereto, il Trentino. Ha ringraziato Vittorio Sgarbi a cui lo lega una «amicizia perversa», ha ringraziato Maurizio Fugatti e l'assessore Mirko Bisesti che, sostiene, hanno provato a convincerlo a restare a Rovereto. Ma lui, in scadenza di mandato, chiude la sua esperienza e fa un bilancio dei suoi cinque anni a Rovereto. Maraniello è un signore, titolo che però non vuol dire né che sia remissivo né scioccamente subalterno e così un paio di sassolini dalle scarpe se li toglie.

Uno sullo polemiche sul direttore "amministrativo" voluto da Sgarbi come suo sostituto. Lo prevede quella legge votata nel 2017 dal centrosinistra e da Tiziano Mellarini. L'altro sassolino se lo toglie nei confronti degli altri membri del Cda che secondo Maraniello hanno sempre avallato le scelte di Sgarbi, salvo fare sapere ai giornali che non erano d'accordo.

Direttore, quindi se ne va.

Non avrei mai immaginato di congedarmi così, in teleconferenza, ma non mi manca comunque il senso di commozione. Si chiude un'eserienza di cinque anni in cui ho goduto di fiducia e rispetto. Il mio ringraziamento va al consiglio d'amministrazione precedente, Ilaria Vescovi, Concetta Mattei, Matteo Lunelli, Stefano Andreis e a Pietro Monti (che era nella commissione giudicatrice, ndr ) che fu fondamentale nella scelta. Per me è stato un onore e un privilegio. Ho sentito la gentilezza e la cortesia di una città come Rovereto e ringrazio anche, senza piaggeria, la stampa che con me è sempre stata corretta e leale. Ringrazio anche Sgarbi, Fugatti e Bisesti che hanno cercato di dissuadermi dal lasciare, ma era una decisione che ho maturato da tempo. Un direttore deve sapere quando deve lasciare. Guardo con fiducia comunque al futuro del Mart, perché c'è anche una sensibilità del presidente Sgarbi nel capire che il raggio di azione del Mart deve andare oltre Rovereto.

Un museo che deve fare i conti con la nuova situazione.

Oggi ci troviamo di fronte a scenari nuovi, ci siamo scrollati di dosso una visione semplicistica del museo, finalmente questa retorica dell'audience sarà ripensata. Un altro punto di assoluto rilievo è pensare al concetto di contemporaneo in maniera problematica, ripensandolo con l'antichità.

È soddisfatto di quello che ha fatto?

Mi ricordo di quando arrivai. Avevo la "grana" precari, c'erano critiche dure sulla mostra sulla Grande Guerra, le collezioni non erano esposte, i servizi ausiliari come caffetteria e bookshop erano in agonia. Abbiamo dovuto ripensare all'identità, valorizzare le collezioni e l'integrazione con il territorio.

E le mostre?

Abbiamo realizzato mostre sul "Viaggio in Italia", dal Divisionismo al Futurismo. La mostra su Boccioni, con immagini che costuiscono l'immaginario. Pensato a un Novecento che recupera la bellezza, i valori, come la mostra dell'"Eterna bellezza", ecco perché siamo arrivati a Margherita Sarfatti con uno sguardo inedito sulla sensibilità femminile. Anche la mostra su Isadora Duncan, condivisa da me e Sgarbi. Oggi il Guggenheim prende mostre prodotte dal Mart, non siamo noi che acquistiamo mostre di altri.

Ma sulla scelta del suo successore, senza competenze artistiche che cosa pensa?

C'è una legge che inquadra la questione, voluta dalla precedente amministrazione. È una decisione coerente con quella legge. Non è che mi piaccia, ma questo è quello che è stato scelto democraticamente dal Trentino. Io condivido quello che ha scritto Kezich sull'Adige, ma le scelte sono state altre, la scelta è stata apparecchiata a Fugatti dalla giunta precedente. Dice un'altra cosa sbagliata quella legge: che il direttore è espressione diretta della politica. Non è una cosa decisa da Fugatti. Ma quella legge si occupa di amministrazione, non di cultura.

Una bizzarria?

No. Lo spirito della legge è quello di una forte centralizzazione. E per questo Sgarbi si fa forte del suo ruolo. E a Sgarbi tutto si può dire, tranne che non faccia quello per cui è stato chiamato.

Ha qualche rammarico?

Potevamo comunicare meglio e avere un risultato più impattante. Non ho avuto la capacità di entrare in un progetto più ampio della Provincia, come i festival, il territorio, l'Università, anche se non posso fare altro che ringraziare il rettore Collini. L'altro rammarico è sui precari, ma per fortuna oggi la situazione è decisamente migliore.

Lei dice che con Sgarbi i rapporti sono buoni, però Sgarbi in pubblico l'ha sempre maltrattata...

È lo stesso presidente che mi ha definito il miglior direttore dell'anno. La sua testimonianza di affetto controbilancia le sue manifestazioni. Il suo è uno stile espressivo che bisogna cogliere con una dose di autoironia. Il mio rapporto storico con Sgarbi nasce con manifestazioni di stima imprevista quando a Bologna anni fa come garante delle opposizoni in commissione mi appoggiò per il concorso che vinsi. Il rapporto con lui è perverso perché siamo diversi antropologicamente, diversi per passioni, ma c'è molta simpatia e affetto ricambiati, ne apprezzo l'indubbia intelligenza.

Il Caravaggio: arriva o no?

Il progetto Caravaggio è in piedi da tempo. Spiace vedere questi attacchi, perché da mesi ci sono incontri con la Regione Sicilia, la Sovrintendenza, il Fec, trovo curioso certi attacchi ora. Legittime perplessità potevano essere espresse prima. Il vero problema è una modalità divisiva che vedo. Mi piange il cuore nel vedere le polemiche tra i dipendenti e il cda. Sono sorpreso da vedere certe decisioni prese in Cda, a cui partecipo, e poi assistere a dichiarazioni sparse.

Il futuro dei musei come lo vede?

Il Covid rimescola tutto. E il Museo come lo pensavamo, come luogo di turismo qualificato, colto, se non al tramonto, certo per un po' non ci sarà. Dobbiamo smetterla con una certa retorica, non è che i musei senza visitatori hanno perso. Abbiamo visto la decostruzione di molti paradigmi, la fine dell'apologia di fare cassetta. E non c'è solo un modello di museo. Il Mart non deve scimmiottare i modelli delle metropoli. Tutto lo scenario italiano è mutato. E l'impatto qui potrebbe essere devastante se non ripensiamo il Museo. Anche il giardino del Mart che arriva fino al bosco ha una dimensione che altri musei non hanno. Non a caso in Trentino si parla di Arte Sella e del rapporto con la natura.

Ora lei che cosa farà?

Mi sto dedicando all'insegnamento allo Iulm e sono onorato di essere nel consiglio della Pinacoteca di Brera e del Duomo di Milano. Confesso comunque che ci sono cose che potrebbero arrivare.

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