Morto il poeta Franco Loi: autore di grande lirismo, e sommo amante del dialetto come lingua vera

È morto il poeta Franco Loi. Era nato il 21 gennaio 1930 a Genova. Ne dà notizia su twitter il sindaco di Milano Beppe Sala.

«Apprendiamo con tristezza - scrive - la notizia della scomparsa di Franco Loi, poeta e apprezzato critico letterario. Di lui Milano ricorderà la sua straordinaria lirica colma di realismo, capace di mescolare diversi elementi ed influenze».

Franco Loi è sempre stato il - grande - poeta del dialetto: sosteneva con forza la legittimità e la forza del dialetto come lingua naturale, e seppe elevarla ai massimi livelli della poetica, senza scadere nel folklorismo o nella anedottica.

Come riporta la voce a lui dedicata su Wikipedia, Loi si diplomò ragioniere e lavorò subito «come contabile allo scalo merci di Lambrate. Poi come impiegato allo scalo merci del porto di Genova fino al 1950 per diventare in seguito, nel 1955, incaricato per le relazioni pubbliche presso l’Ufficio pubblicità della Rinascente e nel 1962 all’Ufficio Stampa della casa editrice Arnoldo Mondadori Editore.

Dopo essere stato attivo militante comunista, ha aderito al movimento della Nuova Sinistra, ma dagli anni settanta ha lasciato sostanzialmente l’attività politica, assumendo posizioni molto personali, con forte accentuazione di una religiosità anarchico-libertaria.

La sua prima produzione poetica nacque tutta in una breve stagione, tra il settembre 1965 e l’estate 1974 quasi “sotto dettatura”, così il poeta rievoca quegli anni fondamentali: “scrivevo versi per quattordici ore filate al giorno, mi sono sempre considerato amanuense di Qualcuno”.

Esordisce solo nel 1973 come poeta in dialetto e ha subito un buon successo con l’opera “I cart” edita dall’Edizione Trentadue di Milano e l’anno dopo, 1974, con “Poesie d’amore” edite da Il Ponte. Nel 1975 il poeta dimostra di aver raggiunto la completa maturità di espressione con il poema “Stròlegh”, pubblicato da Einaudi con prefazione di Franco Fortini, di cui una parte aveva già visto la pubblicazione nel secondo “Almanacco Dello Specchio” ricevendo una critica positiva da Dante Isella.

Nel 1978 scrive la raccolta “Teater”, edita da Einaudi e nel 1981 l’opera “L’Angel”, pubblicato a Genova dalle Edizioni San Marco dei Giustiniani e “L’aria de la memoria”, edita da Einaudi che raccoglie tutte le poesie scritte tra il 1973 e il 2002, tra le quali alcune già edite nella raccolta I cart e Poesie d’Amore. Molte altre sono le sue opere, tutte scritte in dialetto milanese, tra le quali “Lünn”, “Liber”, “Umber”, “ El vent”, “Isman”, “Aquabella”, “Pomo del pomo”.

Oltre alle raccolte di poesia Loi ha scritto, nel 2001, un libro di racconti intitolato “L’ampiezza del cielo” e ha pubblicato diversi saggi. Loi è stato vincitore del Premio Bonfiglio per la raccolta Stròlegh, del premio Nonino per Liber e recentemente ha ricevuto il Premio Librex Montale e il Premio Brancati 2008 (sezione poesia) con il libro «Voci d’osteria».

È stato insignito dalla Provincia di Milano della medaglia d’oro e ha inoltre ricevuto dal Comune di Milano l’Ambrogino d’oro e il “Sigillo Longobardo della Regione Lombardia”.

Temi ricorrenti nelle opere di Loi sono la guerra, la scoperta della presenza del male nella storia, la sensazione di un tradimento perpetrato e di ferite non rimarginabili, l’energia dell’invettiva, il rimpianto di un paradiso perduto, ma anche la costanza dell’invocazione della preghiera. Il titolo della sua raccolta più famosa “Stròlegh” (astrologo), composta in due tempi nell’estate 1970 e nella primavera 1971, rimanda a un sogno a occhi aperti, a una profezia rassicurante.

Il nono passaggio della poesia è dedicato a Piazzale Loreto, luogo fondamentale nell’esperienza di Loi, situata a poche centinaia di metri da Via Casoretto dove allora abitava, che, ancora ragazzino, il 10 agosto 1944, vide quei partigiani uccisi “gettati sul marciapiede come spazzatura”, e nel 1945 i cadaveri di Mussolini e degli altri gerarchi fascisti trucidati. I due momenti sembrano confondersi in un’unica scena, che suscita nel poeta rabbia e pietà, elegiaca reminiscenza e angosciosa invettiva.

La poetica di Loi, ricca di arcaismi (in particolare dantismi) e neologismi, è spesso fondata su costruzioni sintattiche anormali, essa è finalizzata a una libertà espressiva assoluta, ma nasce anche in base a una precisa scelta di campo ideologico-politica per dare voce a un proletariato oppresso e sfruttato. Lo stile violentemente espressionistico, scaturisce da una costante mescolanza di registri, dal grottesco al sarcastico al satirico.

Ma punto di forza è il suo interesse per il dialetto:
“il milanese parlato a Milano negli anni Cinquanta, quando per le immigrazioni, per i precisi cambiamenti di ordine sociale, la lingua non aveva più un suo tessuto fermo, chiuso, ma era completamente aperta, il milanese, in quel momento era una vera e propria lingua, culturalmente aperta a tutte le esperienze”: così Franco Loi definisce il suo dialetto. La lingua usata da Loi è un milanese cittadino, contaminato da apporti dei dialetti rustici, di altre influenze (lombarde e no), di lingue straniere, di latino, e naturalmente di italiano. Loi si avvale di un dialetto intriso di forme colte.

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