Ilaria Salis ancora in catene a Budapest, dopo 13 mesi di cella negati gli arresti domiciliari
BUDAPEST. Le autorità ungheresi evidentemente non si curano degli appelli arrivati dal'Italia e dall'Europa né delle critiche sulla qualità dello stato di diritto a Budapest. Oggi la scena si è ripetuta, infatti, nelle aule di tribunale: manette ai polsi, ceppi e catene alle caviglie e una catena tirata da un agente come un guinzaglio, esattamente come accaduto nell'udienza del 29 gennaio. È entrata così in aula Ilaria Salis, la 39enne docente milanese da 13 mesi in carcere a Budapest in attesa del processo, per la seconda udienza del processo in cui è accusata di aver aggredito tre militanti neonazisti che avevano ricevuto prognosi di una decina di giorni.
E in ogn i modo, stamane il tribunale di Budapest ha respinto la richiesta di passare ai domiciliari in Ungheria presentata dai legali della cittadina italiana.
Al loro arrivo in Tribunale un gruppo composto da legali e amici della donna è stato minacciato da alcuni estremisti di destra: "Stai zitto o ti spacco la testa" hanno detto.
"Ci aspettavano e ci hanno insultato e minacciato in ungherese," ha detto l'avvocato Eugenio Losco. "Ci hanno fatto delle riprese con i telefonini, ci hanno ripreso e il nostro traduttore ci ha detto che ci stavano minacciando", ha proseguito Losco. Del gruppo di una quindicina di persone italiane minacciate faceva parte anche Zerocalcare, oltre a esponenti di Giuristi democratici.
Salis si era detta pronta a trovare un alloggio a Budapest in cui trascorrere questo periodo lunghissimo di carcerazione preventiva. Dalle autorità italiane, a cominciare dal governo, non sono arrivate iniziative particolarmente significative nei riguardi del governo ungherese, per cercare di migliorare le condizioni della connazionale, la cui carcerazione preventiva si protrae in misura considerata da molti osservatori del tutto spropositata rispetto ai fatti contestati all'antifascista lombarda.