Viaggio nell'apocalisse del Vajont, 60 anni dopo
(ANSA) - ROMA, 08 OTT - "Un rumore che non usciva dalle orecchie, ma dalla terra, che entrava in corpo fino a farti scoppiare la testa". Così uno dei sopravvissuti, Giuseppe Vazza, racconta cosa ha provato quel 9 ottobre 1963, quando alle ore 22:39, una frana gigantesca (oltre 270 milioni di metri cubi di roccia) si stacca dal monte Toc e precipita nel sottostante invaso del Vajont: si sollevano tre enormi onde, di cui una, precipitando verso Longarone, devasta ogni cosa e provoca 1.910 vittime. A 60 anni del disastro, lo speciale 'Vajont, 9 Ottobre 1963 - la Montagna, la Diga, gli Uomini' che Focus (la rete tematica Mediaset dedicata alla divulgazione) propone lunedì 9 ottobre, in prima serata, indaga sulla tragedia esplorandone i fatti, le cause, l'impatto, gli errori, il dolore, lo scandalo, le ferite nel territorio e nei superstiti, la diga ieri e oggi. Il programma, a cura del divulgatore scientifico Luigi Bignami, con la regia di Gianluca Gulluni e Manuele Mandolesi, cerca sul territorio le cause del disastro: e, per la prima volta, mostra in tv l'interno della diga e delle gallerie di servizio che servivano alla manutenzione e al controllo dell'invaso. I media, all'epoca, definiscono l'evento un 'incidente', una catastrofe naturale, crudele ma imprevedibile. Nel tempo, grazie al formidabile lavoro d'inchiesta della giornalista Tina Merlin, sull'Unità, emergono elementi di gravissima incuria, corruzione e frode, ai danni della popolazione locale, di fatto esposta irresponsabilmente a un rischio tutt'altro che imprevedibile e imprevisto. Nello speciale, tracciato con foto dell'epoca, immagini d'archivio e riprese delle stesse zone oggi, propone le voci di alcuni testimoni diretti della tragedia; un ricordo dell'accaduto di Mauro Corona, gli interventi di ingegneri e geologi (Piero Gianolla, Università di Ferrara; Giovanni Crosta, Università Milano Bicocca; Emiliano Oddone, Dolomiti Project), e visite, fra i luoghi, al Cimitero Monumentale delle Vittime del Vajont, dove riposano 1.464 vittime (le salme mancanti non sono mai state rinvenute). "Il 9 ottobre 1963, 2000 persone entravano nel nulla per ambizione e cinismo altrui e sete di denaro - sottolinea Mauro Corona -. La cosa terribile è che si capiva le cose non andavano bene, alla fine si apriva un metro (di territorio) al giorno. Sarebbe stato sensato evacuare i paesi intorno, come Longarone, Castellavazzo, Codissago, Erto. La storia del Vajont è chiusa in questa formula. Perché non lo fecero?". La storia "della catastrofe del Vajont iniziata circa 23 anni prima, termina con quattro minuti di apocalisse", spiega Bignami. Al Politecnico di Milano, attraverso software e modelli di calcolo si è ricostruito quanto accaduto quella notte nel Vajont: "il nostro obiettivo è cercare di capire cosa sia successo veramente anche perché ci sono ancora dei punti oscuri - dice il professor Massimiliano Cremonesi del Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale - ma ci interessa anche cercare di proporre una soluzione, un metodo e un approccio da utilizzare anche in situazioni analoghe con scopo predittivo, per evitare che tragedie come questa succedano nuovamente". Tra le mete di Bignami anche il Museo Longarone Vajont Attimi di storia, con un percorso storico tra la cittadina, la tragedia, il lutto, il dolore, i soccorsi, il processo, la ricostruzione, fino all'oggi: "Il museo non vuole essere legato solo ai fatti del 1963 ma vuole ricordare e far ricordare a tutti com'era questa cittadina prima degli eventi - spiega la coordinatrice Sonia Bortoluzzi -. Siamo qui per fare rumore, per non cadere nell'oblio". (ANSA).