Morti nelle Rsa, il Trentino non tutela i suoi anziani

La lettera al direttore

Morti nelle Rsa, il Trentino non tutela i suoi anziani

Caro direttore,
il mio cuore è spezzato e non per questioni d’amore personali ma per l’irricevibile mole di crudeli notizie che arrivano da troppi giorni dalle Rsa del Trentino. Sono 287 ad oggi, 17 aprile 2020, i deceduti nelle Rsa per covid-19. Su 342 decessi, in poco più di 40 giorni, il numero dei nonni e delle nonne morte nelle Rsa è spaventoso. Siamo uno dei territori italiani dove i decessi nelle Rsa per covid-19 è più alto. E allora mi chiedo, caro direttore, come si fa a sentirsi ancora orgogliosi di essere trentini?
Vede io mi sono sempre sentita orgogliosa perché so di essere in un territorio autonomo, perché so che le persone che ci amministrano (per la maggior parte) generalmente (ma non sempre), lo fanno per il bene pubblico. Dopo tutte questa strage nelle nostre Rsa, in un territorio che conta 530.000 persone o poco più, non so più se sono ancora orgogliosa di essere trentina. La percentuale dei morti per covid-19 nelle Rsa trentine rispetto al numero di abitanti, è altissima. Noi non siamo la Lombardia e nemmeno il Piemonte. Non contiamo milioni di abitanti. Perché tutti questi decessi per covid-19 nelle nostre Rsa?
Come mai non si è potuto evitare che una parte di coloro hanno “costruito il Trentino” se ne andasse da questo mondo da sola e senza il conforto dei parenti?
Benché l’emergenza del coronavirus fosse del tutto inaspettata e nuova, come non abbiamo saputo difendere i nostri vecchi? So bene che il coronavirus è nuovo, altamente contagioso, può portare grossi problemi specie nei grandi anziani soprattutto se hanno altre patologie. Ma, mi permetta, quante volte abbiamo letto e sentito elencare i vantaggi della sanità trentina? L’efficacia e l’efficienza di un sistema sanitario non dovrebbe vedersi proprio nell’emergenza? Come detto sono sempre stata orgogliosa di essere trentina ora, con quasi 300 bare una appresso all’altra, con i poveri resti di nonne e nonni lasciati morire da soli nelle Rsa, sento come un incubo quella litania dell’età ripetuta ogni giorno e non lo so più se sono ancora orgogliosa di essere trentina. Il mio cuore è spezzato: un popolo che non riesce a difendere, fino all’ultimo, i suoi vecchi è come una barca che ha perso la bussola e non trova più terra e porti sicuri.

Elena Tomasi


 

Alcune risposte andranno pur date

Certi numeri non possono non far pensare. Come ho scritto anche nel mio editoriale, l’Italia e il Trentino non possono certo essere considerati un grande Pio Albergo Trivulzio (anche a Milano, peraltro, deve essere la magistratura a chiarire fino in fondo cosa sia davvero accaduto). Però qualcosa che non va c’è. Non mi interessa nemmeno capire, in questo momento, se la colpa sia tutta di chi ha deciso di far entrare almeno un parente nelle Rsa nei giorni più delicati. Così come non mi interessa sapere, oggi, come mai solo meno di cinquanta anziani (parole del dirigente generale dell’azienda sanitaria Bordon) siano stati portati in ospedale per essere curati (chi ha dichiarato incurabili tutti gli altri?). Penso che in questo momento si debba debellare il virus. Perché l’obiettivo primario deve restare questo. Ma dopo - come ben dimostra anche l’infuocato dibattito che stiamo già ospitando in questi giorni - alcune considerazioni andranno pur fatte, alcune risposte andranno pur date. Non bastano le condoglianze. Serve capire come mai, ad esempio, la situazione delle case di riposo, in Alto Adige, sia così diversa. Serve capire se si sia fatto davvero tutto il possibile - e non voglio nemmeno pensare che non sia così - per evitare, qui non meno che altrove, la strage di un pezzo significativo di una generazione. Ma ci sarà modo e tempo per analizzare ogni cosa. Sempre tenendo presente, come fa anche lei in questa sua struggente lettera, che siamo di fronte a una cosa gigantesca, difficile da immaginare, da vivere, da gestire, difficile anche solo da raccontare. Essere orgogliosi della propria trentinità significa in fondo anche porsi delle domande. Senza polemica, senza pregiudizi e sospetti. Ma col desiderio di sapere, di capire.

lettere@ladige.it

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