Referendum, riforma che nasce malissimo

Lettera al giornale

Gentile direttore,
grazie della pubblicazione dell'approfondimento del professor Palermo. Lo aspettavo e avete entrambi mantenuto l'impegno di allargare la riflessione sul tema referendum costituzionale. La chiarezza della spiegazione e la facilità dei termini usati da lui sono confortanti perché avvicinano al dibattito in corso anche tutti quelli che proprio non ce la fanno a misurarsi anche con la costituzione italiana in questo particolare momento storico. Ciò non toglie che alla fine dei conti, mi par di capire, il cerino resterà in mano ad ognuno di noi ammessi ad esprimerci su una domanda referendaria secca (taglio o no?) che pare assomigliare sempre più a una castrazione e meno a una riforma nonostante il richiamo al fatto che, a livello di Cabala e di probabilità, averne di meno a rappresentare il paese possa esporci al rischio che tra quei meno ve ne siano di peggiori rispetto ad oggi, teoria che può convincere fino ad un certo punto per il no, io farei anche un passo indietro e andrei a spendere un minuto sul come ci si è arrivati al referendum. Una riforma che poteva nella sostanza rappresentare un passo avanti nel cammino storico democratico del paese e che doveva essere partorita insieme alla sorella, quella sulla legge elettorale, per cominciare a "snellirci" in totale sicurezza è stata condotta all'italiana.

Tanto baccano iniziale per brindare alla nostra parificazione con altri sistemi di governo europei, dai quali però noi ci distinguiamo per tasse e conti, era se non sbaglio prima di Di Maio e Salvini, poi era talmente tanto una legge ben fatta per il paese che quest'ultimo, invocando rispetto per quei meccanismi che lo stesso testo costituzionale prevede e che si intende ogni giorno cambiare, l'ha rimessa al caro e paziente Popolo, cosicché poi la "riforma" e le sue incognite sono rimaste congelate nella sospensione creata dal Covid senza che nessuno in parlamento osasse cominiciare a porvi rimedio finché si era in tempo. Infine , in piena ansia nazionale per lo sforzo biblico del rientro in classe, «italianiii? Che famo?» il tutto con sullo sfondo una campagna martellante ma sterile sui tecnicismi.

Ha ragione il giurista quando fa riflettere sul fatto che al referendum forse non ci si sarebbe proprio neanche dovuti arrivare: gli esperti in grado di consigliare la politica su come e se prevedere un'ulteriore regolamentazione per bilanciare gli effetti della nuova struttura camerale e prevederne eventuali correttivi senza vanificare i suoi obbiettivi andavano consultati prima e durante la stesura della legge costituzionale, per poi confrontarsi politicamente su eventuali questioni ideologiche (che oggi sembra significare far finta di rimettersi alle basi dopo averle confuse per benino..) e presentare al paese una legge di tale portata solo quando questa fosse a tutti gli effetti degna della responsabilità che porta. E invece la presunta riforma è nata già parzialmente abortita, grazie al modo in cui essa è stata progettata e sentita fin dall'inizio, nient'altro che un nuovo pomo della discordia per rubarsi a vicenda consensi e far perdere a tutti l'ennesima occasione di progredire. Se queste sono le premesse, si capisce che il voto faccia ancora più paura, perché se a vincere fosse il sì non si riesce ad immaginare come la attuale classe politica possa in futuro godere della nostra fiducia in merito ad altre riforme sul tema o con quale condivisione possa regolarizzare eventuali distorsioni del nuovo sistema.

Federica Martinelli


Le idee mancano

Un Parlamento che decide un taglio (dei parlamentari) praticamente all'unanimità, non dovrebbe sottoporre poi la questione agli elettori attraverso un referendum. E, soprattutto, non dovrebbe spacciare il taglio (sempre legittimo e da molti a dir poco ben visto) per una riforma.

Le idee, infatti, mancano. La riforma elettorale dovrebbe partorire eventuali tagli, ma qui siamo al rovesciamento della cosa: intanto tagliamo, poi una riforma di qualche tipo la faremo.

Il che potrebbe anche andar bene, se le riforme (non solo elettorali) non fossero esattamente la specialità del nostro Parlamento. A ben guardare questo referendum ha dunque soprattutto un obiettivo: quello di far vincere il governo Conte che l'ha voluto (perché la vittoria del sì è scontata e il governo ha dovuto sostenere questa linea) anche se il voto amministrativo non dovesse esattamente premiare chi è al governo. Come a dire: male che vada si pareggerà.

lettere@ladige.it

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