La presenza delle donne e il linguaggio adeguato
Caro direttore, ogni epoca ha il suo "-ismo": a volte si tratta di riesumare o accomodare dottrine esistenti in altri contesti storici, più spesso si tratta di tendenze e atteggiamenti sull'onda della ricerca di attenzione. In genere, chi è a corto di argomentazioni ricorre al "benaltrismo", costume comodo per evitare il confronto: "ci sono ben altre priorità, non è questo il problema".
Eppure, mai come adesso, nell'era informatica, si riesce a comprendere che ci si può occupare di più questioni in contemporanea. È un fenomeno che accomuna colori politici diversi. Per quanto riguarda l'utilizzo di un linguaggio non discriminante, in passato molte persone che oggi celebrano la scelta del Comune di Trento hanno liquidato con commenti "benaltristi" le ragioni e le richieste di coloro che si muovevano in questa direzione inclusiva.
Ogni parola porta con sé non soltanto i suoi significati, ma anche l'identità di chi parla: racconta chi è e la sua visione del mondo. Le convinzioni linguistiche del pensiero italico partono da un'inclinazione maschilista: ci si rivolge a una molteplicità di persone, a una società sempre più ricca di diversità, al maschile, facendo scomparire prima di tutto le donne. Per questo motivo il linguaggio può essere un importante «strumento di contrasto dei costumi e degli stereotipi che ostano a una equilibrata rappresentazione dei ruoli che donne e uomini ricoprono nella società», come si legge nel verbale della Giunta comunale. «In tutti i casi in cui è noto il genere della persona fisica a cui si fa riferimento, è consigliabile utilizzare il genere grammaticale corrispondente», spiega il documento allegato.
Ciò che viene nominato si vede: tutte le volte che ci sono donne in professioni e ruoli da cui prima erano escluse, è giusto riferirsi a loro con le parole previste dalla lingua italiana. Previste, appunto, perché non si tratta di creazioni estemporanee: i nomina agentis, i nomi professionali, declinati al femminile esistevano già in latino e si trovano nel volgare - nell'ultima bolgia dell'ottavo cerchio, «là ve la ministra / de l'alto Sire infallibil giustizia», che punisce anche i falsatori della parola (Dante, Inferno, canto XXIX, vv. 55-56) -.
Non si tratta, quindi, di stravolgere la nostra lingua, i nomi sussistevano e si utilizzavano: ora che ci sono donne in professioni nelle quali prima non c'erano si possono usare i nomi già presenti nell'italiano. E non vale l'obiezione che certe parole sono cacofoniche: ogni voce può essere sgradevole all'orecchio, soprattutto se non abituato, ma se il suono può avere rilievo in un testo lirico, esso non toglie realtà alle parole. Il problema non è linguistico, i motivi ostativi sono culturali: il linguaggio rende visibile la presenza delle donne nella società.
Riflettere sulle parole è il primo passo per una politica consapevole e, al contempo, per un'autopercezione. L'incuria linguistica può far fare figuracce, come quando si scambia "-ismo" in "-asmo": l'umorismo non è sarcasmo, si può rischiare di utilizzare termini sudici
Roberta Corradini
Riflettere sulle parole è davvero un gesto politico,
Condivido. E aggiungo che certe parole sembrano cacofoniche semplicemente perché non le abbiamo mai usate. Non è lontano quel tempo in cui certe professioni non erano nemmeno accessibili alle donne.
Dunque nessuno s'era posto il problema, che so, di come chiamare una magistrata. Se l'abitudine si fa cultura e anche pensiero per così dire dominante, allora rovesciamo il ragionamento e facciamo in modo che modificando una cultura e un pensiero (lungimirante e non più dominante) si possa cambiare, nel tempo, ogni abitudine.
Riflettere sulle parole è davvero un gesto politico, persino un'azione rivoluzionaria. E a volte, anche quando sollevano normalissimi e umanissimi dubbi, le rivoluzioni culturali sono indispensabili anche per modificare atteggiamenti ancora e sempre inaccettabili. Ci vorrà del tempo. Ma il punto di partenza e la regola che si è dato il Comune di Trento sono qualcosa di più di una lezione interessante.
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