Dal ghiacciaio del Mandron mille anni di storia del clima
Nel ghiacciaio del Mandron, il più esteso (17 chilometri quadrati) e il più profondo ghiacciaio d’Italia, un team di studiosi sta cercando delle risposte ai mutamenti del clima nell’ultimo millennio. È il team del progetto POLLiCE, curato dagli esperti della Fondazione Mach, Antonella Cristofori e Cristiano Vernesi, coadiuvati dal glaciologo dell’Università Milano Bicocca Valter Maggi, dai geologi del Muse Christian Casarotto ed Elena Bertoni, e dalla palinologa Daniela Festi dell’Università di Innsbruck. Un’indagine in alta montagna, condotta a 3.200 metri di altitudine nella parte centrale del Pian di Neve, dove si ritiene che la profonda stratificazione glaciale conservi le tracce delle stagioni che, teoricamente, potrebbero «restituire» le variazioni del quadro meteoclimatico e vegetazionale fino a mille anni fa.
Al Piano di Neve si stima che lo spessore del ghiacciaio, nel cuore dell’Adamello, arrivi a 240 metri, un «frezeer» naturale che conserva particelle disperse nell’aria nei secoli: frammenti di specie vegetali, sostanze, ossigeno. Un gigantesco archivio di indicatori del clima del passato - il tipo di vegetazione, le temperature - che i ricercatori hanno deciso di aprire con il progetto «POLLiCE», che coinvolge anche l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste. Un primo carotaggio di 6 metri, corrispondente a 3 anni di età, è stato già fatto e ha portato ai primi risultati, come i pollini estratti dal ghiaccio nel marzo scorso. Pollini, ad esempio, di pino mugo, ontano, ambrosia, artemisia.... Ma la sfida più grande è prevista nel 2016, con una perforazione che dovrebbe spingersi fino alla massima profondità del ghiacciaio, per poi studiare ciò che viene estratto con le «carote»: la componente vegetale (pollini, corteccia, rami, radici), quella chimica e l’ossigeno, che potrebbero restituire preziose informazioni su specie e clima fino a mille anni fa.
A differenza dei ghiacciai polari, lo spessore del Mandron è il risultato di accumuli e fusioni, ma anche di trasformazioni dovute alla percolazione dell’acqua.
«Per questo - spiega Christian Casarotto, glaciologo del Muse - cercheremo le conche dove il ghiaccio è rimasto intrappolato senza muoversi». I ricercatori dell’Istituto di Trieste stanno appunto rilevando il fondo del ghiacciaio.
Ricostruendo il clima degli ultimi mille anni, e il tipo di vegetazione dominante, grazie a dati certi, il quadro potrebbe essere ultimente comparato alle fonti storiche sul quel clima favorevole del Basso Medioevo che avrebbe permesso raccolti agricoli a quote altimetriche (e latitudini) maggiori di quelle attuali. La ricerca affianca all’analisi morfologica il sequenziamento di tratti informativi del dna: «L’idea - spiega Cristiano Vernesi della Fem - è di sfruttare il materiale biologico per estrarne il dna, stabilendo l’appartenenza alla specie. Nel ghiaccio si conservano anche i pollini, che permettono la conservazione del nucleo cellulare, per cui dovremmo poter ricostruire le dinamiche vegetazionali del passato e metterle in relazione con la comparsa/scomparsa di certe specie».