Il Dna risolve il mistero «Lo yeti è un orso»
L’abominevole uomo delle nevi getta la maschera e si mostra per quello che è veramente: un orso. A mettere la parola «fine» alla sua leggenda è il test del Dna, condotto su nove reperti ritrovati tra Tibet e Nepal e attribuiti dal folklore popolare allo Yeti. Ossa e peli, conservati in musei e collezioni private, apparterebbero in realtà a esemplari di orso nero asiatico, orso bruno tibetano e orso bruno himalayano, e potrebbero perfino contribuire a salvare queste specie a rischio aiutando a ricostruire la loro evoluzione genetica.
A sostenerlo è uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of the Royal Society B da un gruppo internazionale di ricerca coordinato dalla biologa Charlotte Lindqvist, dell’Università di Buffalo, negli Stati Uniti. «I nostri dati indicano chiaramente che la base biologica della leggenda dello Yeti può essere trovata negli orsi locali - spiega Lindqvist - e lo studio dimostra che la genetica dovrebbe essere in grado di risolvere altri misteri analoghi».
Un primo indizio sulla vera identità dell’enigmatica creatura era già stato trovato nel 2003 da un alpinista giapponese, tale Makoto Nebuka, che dopo anni di studi scoprì come la parola «yeti» fosse in realtà una deformazione dialettale della parola tibetana «meti», che indica l’orso bruno himalayano. Dieci anni più tardi, i genetisti dell’Università di Oxford arrivarono ad attribuire alcuni campioni di peli dello Yeti ad un antico orso polare: da qui l’idea che dietro all’abominevole uomo delle nevi ci fosse un ibrido tra un orso polare e un orso bruno himalayano. Dello stesso parere anche lo scalatore altoatesino Reinhold Messner, che per trovare nuove prove organizzò nel 2015 una missione scientifica segreta in Pakistan, poi sfumata. A smentire l’ipotesi dell’incrocio è stato poi il biologo venezuelano Eliecer Gutierrez, dello Smithsonian Institution, che invece ha attribuito i resti ad un normale orso bruno himalayano.
A fare chiarezza arriva ora la nuova ricerca, «che - ricorda Lindqvist- è la più rigorosa fatta finora su campioni attribuiti a mitiche creature simili a ominidi». I ricercatori hanno studiato ben nove reperti tra ossa, denti, pelle, peli e campioni di feci raccolti tra l’Himalaya e il plateau tibetano: uno è risultato appartenere ad un cane, mentre gli altri otto a diversi esemplari di orsi asiatici. «Gli orsi in questa regione sono a rischio o seriamente minacciati, ma non sappiamo molto della loro storia», sottolinea Lindqvist. «Chiarire la struttura della popolazione e la loro diversità genetica potrà aiutare a stimare meglio le dimensioni delle popolazioni e ad elaborare nuove strategie per la loro gestione».
MESSNER: «L’HO SEMPRE DETTO»
«L’ho sempre detto e scritto che lo yeti in realtà è un orso», commenta Reinhold Messner gli ultimi studi scientifici in merito. «La leggenda dello yeti - aggiunge - comunque va oltre la scienza, perchè si tratta dell’immagine che la gente del posto vuole avere di questo animale. In sostanza, si tratta del corrispettivo zoologico dell’immaginazione popolare».
Messner si dice rammaricato per essere spesso stato deriso in questi anni per i suoi studi sullo yeti, ma ricorda con simpatia anche una barzelletta che lo vedeva come protagonista: «Uno yeti incontra un altro e racconta: ‘Sai - dice -, ho visto Reinhold Messner’. Risponde l’altro stupefatto: ‘Allora esiste davvero!’».