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Orsi pericolosi? «Solo nello 0,8 % dei casi». Gli esperti del Parco: il resto è amplificazione mediatica

Sulla rivista dell’Adamello Brenta l’analisi di Castellani, Mustoni e Zibordi: dagli errori commessi («c’era scritto, bastava leggere») alla sovraesposizione («la parola di chiunque vale quella di un esperto»)

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IL PUNTO
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di Luisa Patruno

TRENTO. L'orso bruno è pericoloso? Per superare le false credenze e le mistificazioni strumentali - a favore o contro gli orsi - gli studiosi esperti in materia Filippo Zibordi, Federica Castellani e Andrea Mustoni, hanno pubblicato un documentato articolo sui «Nuovi Fogli dell'orso» editi dal Parco Adamello Brenta, per cercare di rispondere con i dati e le evidenze scientifiche a questa fondamentale domanda, considerati il forte impatto emotivo e le preoccupazioni suscitate dalla morte del giovane Andrea Papi, il 5 aprile dell'anno scorso, a seguito dell'aggressione di un'orsa in val di Sole.

«L'aggressione mortale accaduta in Trentino nell'aprile del 2023 - osservano gli autori - ha segnato un momento di svolta significativo, aprendo a discussioni che hanno messo in dubbio il progetto di reintroduzione dell'orso, la bontà della sua condotta tecnica e le decisioni prese dai politici che si sono alternati al governo della Provincia. Ad essere messo in discussione è stato anche il nostro rapporto con la natura, con il selvatico.

I fatti dell'aprile del 2023 hanno risvegliato, forse tardivamente, coscienze e discussioni, rendendo di grande attualità l'individuazione di misure gestionali più cautelative per l'uomo, nel rispetto secondario della conservazione della popolazione di orsi, frutto della reintroduzione. Non sono mancate le strumentalizzazioni politiche e le falsità cristalline».

L'opinione dell'uomo della strada. Gli zoologi non risparmiano una frecciata polemica per quanto accaduto in questo ultimo anno osservando che: «La tempesta emotiva e mediatica ha dato voce a tutti, mettendo il parere tecnico dell'uomo della strada davanti a quello degli scienziati, il più delle volte insultati più o meno esplicitamente. E questo nonostante avessero avvertito, anche per scritto, della pericolosità dell'orso e delle possibili misure per attenuarla. Bastava leggere».

In sintesi, gli esperti ricordano che le misure da adottare per ridurre i rischi di aggressioni anche mortali - a cominciare dalla comunicazione e l'informazione capillare della popolazione per la conoscenza degli orsi e su come comportarsi - erano ben note a chi di dovere e «stava scritto anche nello Studio di fattibilità posto alla base del progetto di reintroduzione» degli orsi in Trentino.

Il rischio si può minimizzare. «Il rischio zero - ricordano infatti Zibordi, Castellani e Mustoni - non esiste, come sa chiunque entri in un bosco e sia pronto a condividere lo spazio con possibilità che sono fuori dal suo totale controllo, ma il pericolo posto in essere dalla presenza dell'orso può essere minimizzato attraverso alcuni comportamenti, che devono essere messi in atto da parte delle istituzioni e dei singoli cittadini. A tale scopo, questi ultimi devono però essere adeguatamente informati, cosa che evidentemente non è avvenuta in modo efficace in questi ultimi 20 anni».

Rilevano inoltre che: «La percezione pubblica del rischio connesso alla presenza dei plantigradi - che pure è un rischio reale, per quanto residuale - è oggi invece il risultato del combinato disposto tra sovraesposizione mediatica dell'orso e framing (inquadramento, Ndr.) negativo indotto da un'agenda "selettiva" delle notizie costruita sul trauma collettivo e sull'allarme sociale seguiti alla morte di Andrea Papi.

Una percezione amplificata che non risulta però oggettivamente sostenuta dai dati statistici disponibili in letteratura così come avviene, del resto, per altri animali definiti "killer"».

Pericolosi quando colti di sorpresa. «Gli attacchi all'uomo, pur rimanendo episodi estremamente poco frequenti dal punto di vista statistico, - evidenziano gli esperti - sono tra gli accadimenti possibili ovunque gli orsi siano presenti ma in Europa meridionale sembrano legati al tentativo di autodifesa di un orso spaventato per l'incolumità propria o della prole al seguito: l'orso, in altre parole, attacca per prevenire o neutralizzare una minaccia, e ciò accade con maggior frequenza qualora l'animale venga colto di sorpresa.

È in questo modo che si possono interpretare verosimilmente anche le 8 aggressioni, di cui una purtroppo mortale, avvenute tra il 2014 e il 2023 in Trentino, nonché gli episodi che periodicamente riempiono le cronache della vicina Slovenia, dove si registrano da uno a 3 contatti fisici tra uomo e orso ogni anno (Zibordi, 2017). Se le situazioni più pericolose sono quelle nelle quali l'orso viene sorpreso dall'uomo, spaventandosi fino alla reazione violenta, buona regola è quella di segnalare la propria presenza, facendo rumore, quando ci si muove solitari nel bosco e si ha scarsa visibilità».

Si può sostenere dunque che «non sono a rischio gruppi di persone che camminano insieme, coppie di persone che parlano o procedono nel bosco facendo anche solo un minimo di rumore, mamme con bimbi che non vengono mai riconosciute dall'orso come un pericolo».

Da una recente indagine condotta dal Parco Adamello Brenta sugli incontri uomo-orso emerge inoltre che «la reazione principale dell'orso durante un incontro con l'uomo, mostrata nel 51,1% dei casi, è quella di allontanarsi dal luogo dell'incontro e solo nello 0,8% l'esemplare si avvicina all'uomo ("falso attacco").I "problematici" vanno rimossi.Zibordi, Castellani e Mustoni aggiungono che a condizionare il grado di pericolosità dei singoli individui di orso rimangono anche le caratteristiche individuali. «In particolare - scrivono - sembrano essere di grande importanza le esperienze pregresse (apprendimento) e probabilmente la predisposizione genetica».

Questo fa riflettere «sulla gestione degli orsi conosciuti per essere pericolosi e comunemente definiti "problematici". Tali orsi sono rari e la loro rimozione sistematica potrebbe portare ad una diminuzione diretta del numero di esemplari pericolosi sul territorio e a interrompere quelle linee genetiche e di apprendimento madre-cucciolo». 

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