Montani (presidente Cai) «Un turismo sostenibile? Non c’è la volontà»
Il numero uno nazionale del sodalizio analizza il nodo del turismo eccessivo: «ll modello alternativo è più difficile da implementare nei territori di successo. In val di Fassa, il fenomeno sembra ormai solo da contenere, lo dico con dolore. I pedaggi? Pretendere di risolvere mettendo una stanga e una funivia non ha senso»
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TRENTO - «Le alternative per un turismo montano sostenibile esistono, ma manca la volontà di applicarle, perché le amministrazioni sull'overturismo ci mangiano. Per quanto riguarda le cime dolomitiche della Val di Fassa ormai ci si deve limitare al contenimento del fenomeno, anche perché il turismo sostenibile difficilmente può attecchire nei territori di successo».
Il presidente del Club alpino italiano Antonio Montani interviene sul tema dell'overturismo, il sovraccarico turistico che danneggia l'integrità dell'ambiente alpino, delineando una situazione tutt'altro che rosea.
«Ma esistono strategie che possono funzionare, come la destagionalizzazione e la promozione di località turistiche diverse da quelle da "selfie" da cartolina».
Presidente Montani, la Fondazione Dolomiti Unesco chiede alle amministrazioni di promuovere una comunicazione più sostenibile, non incentrata sul turismo di massa. Può bastare?
È difficile fare argine a simili dinamiche solo lavorando sulla comunicazione. Si continua a ragionare sul turismo della montagna con criteri industriali, urbani, metropolitani. Mi metto nei panni di un amministratore, che su quel carosello vuole mangiarci, così finisce per volersi attaccare al carosello, approvando magari una funivia per svalicare e per congiungersi con altre realtà. Occorre un cambio di paradigma, si deve passare da un'industria del turismo a un artigianato del turismo, diffuso nelle piccole comunità.
Esistono alternative?
Esistono territori in cui si è ragionato in modo diverso: pensiamo ad alcune valli del Piemonte, dove si pratica un'accoglienza diffusa, che si poggia sui piccoli alberghi e sui bed and breakfast sostenibili. In quei territori c'è meno impatto dal punto di vista ambientale, ma anche sociale. Le comunità montane diventano così luoghi di coesione.
C'è anche carenza di alloggi. I lavoratori del turismo montano devono andare a vivere a mezz'ora di distanza dal posto di lavoro perché non c'è spazio per viverci. Che sta succedendo?
La carenza degli alloggi è la grande conseguenza di quell'idea di sviluppo. Ovunque ci sono solo seconde case, che vengono però usate solo ad agosto e da Natale a Capodanno. A questo si aggiunge la cementificazione selvaggia, il fatto che l'assalto dei turisti porta gravi criticità per le reti stradali, energetiche e fognarie. Lo spostamento dei residenti è la conseguenza di tutto ciò. Servono persone che vivano la montagna tutto l'anno, anche per permetterne una manutenzione, altrimenti la manutenzione finisce per limitarsi al giardino dell'albergo.
C'è chi dice che l'invasione delle auto in quota non sia un fenomeno nuovo, risale almeno agli anni Settanta. In che modo è peggiorato?
È vero, non è un fenomeno nuovo, gli anni Settanta furono il primo decennio del turismo di massa, ma siamo arrivati al culmine di un percorso storico che dura da mezzo secolo e oggi ne emergono tutte le criticità.
È possibile attivare politiche turistiche sostenibili nei luoghi dove è già sviluppato il turismo di massa?
Il modello alternativo è più difficile da implementare nei territori di successo, perché in quei luoghi è complicatissimo procedere a una transizione verso un turismo sostenibile. Purtroppo, in territori come la Val di Fassa, il fenomeno sembra ormai solo da contenere, lo dico con dolore. Però si può procedere con strategie di mitigazione: tra queste, la destagionalizzazione, che è forse l'unica politica con una certa efficacia. Distribuire gli eventi sulle basse stagioni, anche per valorizzare la scoperta della primavera, dell'autunno, stagioni in cui la montagna è meravigliosa. Però c'è da dire che anche la destagionalizzazione non può risolvere alla radice il problema sistemico.
Il modello può essere quello delle Tre Cime di Lavaredo, dove è stato introdotto un pedaggio per gli accessi?
Il modello che pretende di risolvere il problema mettendo una stanga e una funivia non ha molto senso. Diamo la priorità a chi ha delle disabilità perché possa arrivarci in automobile, mentre gli altri possono salire a piedi. Si scopre così la vera montagna, si torna a salutarsi mentre si cammina, oggi in montagna non ci si saluta nemmeno più, tale è la frenesia. D'altro canto, non si deve nemmeno usare la "scusa" dell'accesso alle persone disabili per giustificare la realizzazione di impianti giganteschi.