La tragica morte di Ballard e Nardi Reinhold Messner: «Gl iavevo detto di non andarci, è un inferno»
«A Daniele Nardi, tre o quattro anni fa, dissi che salire sullo sperone Mummery non è un atto eroico, ma è stupidità». Così Reinhold Messner, poco dopo aver appreso la notizia del riconoscimento dei corpi senza vita di Nardi e Ballard sulla parete del Nanga Parbat, ricorda con dolore e amarezza il suo incontro con l’alpinista di Latina, che aveva cercato di dissuadere dalla suo progetto.
«Pare che siano morti a 6.000 metri, nell’angolo più pericoloso della parete, adesso però è troppo tardi per dire che in quell’angolo io non ci andrei», spiega l’alpinista che proprio lì, nel 1970, vide morire il fratello Gunther, mentre stavano scendendo dopo aver raggiunto la vetta. «Certo, chi va in montagna rischia sempre - aggiunge - però l’arte dell’alpinismo sta nella capacità di superare difficoltà e di evitare pericoli e in quell’angolo di Nanga Parbat, alla base del Mummery, non si possono aggirare i pericoli e un bravo alpinista in quell’angolo non va».
Il pensiero di Messner è dedicato ai familiari delle due vittime: «Siccome andare lì a piedi è troppo pericoloso, mi auguro che in primavera un elicottero specializzato vada a prendere i due corpi per restituirli ai loro cari, prima che la neve e il ghiaccio li sommergano», come avvenne per il fratello di Messner, ‘restituitò dal ghiacciaio solo 35 anni dopo l’incidente. «È fondamentale - insiste - che i loro congiunti abbiamo la possibilità di capire, di sapere, perchè tutto questo è capitato alla fine del mondo e una persona normale non può immaginare: il Nanga Parbat è una montagna molto complessa, pericolosa che ha una storia terribile».
E di questa storia, dopo esserci salito in solitaria una seconda volta nel 1978, Messner è stato uno dei protagonisti: «Quando abbiamo trovato il corpo di mio fratello - racconta - ho portato tutta la mia famiglia alla base di questa montagna per poter raccontare loro che cosa era successo: avevano la necessità di capirlo emozionalmente, spero che anche i parenti di Nardi e Ballard possano fare un’esperienza simile, prima o poi».
IL VIDEO DELLE OPERAZIONI GUIDATE DA TXIKON
LA NOTIZIA: BALLARD E NARDI SONO MORTI il dolore della compagna di Tom, la fassana Pederiva.
LA NOTIZIA - Gli alpinisti Daniele Nardi e Tom Ballard sono morti a circa 6.000 metri di quota sulla parete nord occidentale del Nanga Parbat, alla base dell’inaccessibile sperone Mummery che stavano tentando di conquistare. È il drammatico epilogo di un giallo durato due settimane, che ha lasciato con il fiato sospeso ed ha attivato un’imponente operazione di soccorso nel Karakorum pakistano, cui hanno partecipato alcuni dei più forti alpinisti presenti in zona.
Ad ufficializzare, su twitter, la drammatica notizia è stato l’ambasciatore italiano Stefano Pontecorvo annunciando che lo spagnolo Alex Txikon e la sua squadra, impegnati nelle ricerche, hanno confermato che «le sagome viste sul Mummery a circa 5.900 metri sono quelle di Daniele e Tom».
Una foto, scattata dal campo base con l’ausilio di un potentissimo telescopio, ritrae infatti i due corpi sdraiati sulla neve, in mezzo alle rocce: Nardi, con il suo piumino rosso, più in alto e, qualche metro sotto, Ballard con una giacca blu. «L’analisi di quell’immagine e di altre ci suggerisce che la tragedia si è sviluppata in un’azione dinamica, cioè di loro due che si stavano muovendo verso il basso, quando è successo qualcosa; non sembrerebbe comunque esserci stato alcun tipo di valanga», spiega Agostino Da Polenza, presidente dell’Associazione Everest-K2-Cnr, amico dei due alpinisti che ha coordinato dall’Italia le ricerche.
L’ipotesi più accreditata à quella che i due siano precipitati mentre stavano scendendo dalla montagna.
Le operazioni di recupero sono state sospese e i corpi rimarranno lì, per ora; è impossibile avvicinarsi a quello che è considerato uno dei luoghi più pericolosi della montagna pakistana. Ne era consapevole lo stesso Nardi, 43 anni di Sezze (Latina), che lascia la moglie Daniela e il figlio Mattia di sei mesi. Nel suo ultimo messaggio, prima di partire, aveva scritto: «Mi piacerebbe essere ricordato come un ragazzo che ha provato a fare una cosa incredibile, impossibile, che però non si è arreso». Per lui era diventata quasi un’ossessione quella via di salita diretta, mai scalata prima da nessuno e percorsa, in discesa, nel 1970, solo da Reinhold Messner e da suo fratello Gunther, morto a poca distanza da lì.
Nardi ci aveva già provato altre quattro volte e quest’anno aveva coinvolto nella sua impresa invernale il giovane Tom Ballard, 31enne inglese, astro nascente dell’arrampicata e figlio di Alison Hargreaves, celebre scalatrice britannica deceduta nel 1995 sul K2. La sua fidanzata Stefania Pederiva, che vive in Val di Fassa, ha oggi gridato su facebook la propria disperazione: «Un dolore straziante e una forte rabbia per non aver ascoltato le mie costanti parole che ti dicevano che su quella montagna non dovevi andare, i tuoi sogni non erano lì, per questo madre natura non ti ha più protetto».
L’impresa sognata da Nardi, drammaticamente interrotta a poco dalla sua conclusione, sarà narrata in un libro che uscirà da Einaudi Stile Libero e che l’alpinista aveva iniziato a scrivere insieme ad Alessandra Carati, con cui è rimasto in contatto fino ai giorni immediatamente precedenti la scomparsa. «Se non dovessi tornare dalla spedizione desidero che Alessandra Carati continui a scrivere la nostra storia», aveva precisato l’alpinista in una lettera. Ma le parole più intime e appassionate Nardi le aveva regalate al figlio, lasciandogli una sorta di messaggio in bottiglia che la famiglia ha oggi voluto rendere pubbliche: «non fermarti non arrenderti, datti da fare perchè il mondo ha bisogno di persone migliori che facciano sì che la pace sia una realtà e non soltanto un’idea... vale la pena farlo».