La strage di San Martino: 75 anni fa il bombardamento che distrusse mezza Trento

di Luigi Sardi

Il 13 maggio del 1944, dunque 75 anni fa, era un sabato di azzurro e di sole. Ma anche quello era un giorno buio e disperato per l’Italia devastata da quattro anni di guerra. Trento già sconvolta dal tragico bombardamento che aveva distrutto il rione della Portéla, era occupata dalla notte dell’8 settembre ’43 dalle truppe tedesche che dai Pirenei al Don tenevano sotto il tallone interi popoli, piegandoli con le deportazioni, i campi di concentramento e di sterminio. Scarseggiava il cibo. E si sopravviveva nell’angoscia della guerra che da un momento all’altro poteva piombare dal cielo.
Quel giorno il giornale Il Trentino diretto da Mario Paoli di Pergine annunciava la distribuzione di 100 grammi per persona di carne bovina congelata al prezzo di 35 lire al chilo e la cronaca giudiziaria metteva in guardia “i traditori badogliani” sorpresi ad ascoltare le trasmissioni di Radio Londra, scrivendo che il tribunale miliare aveva condannato a un anno di carcere Ida Cainelli di 60 anni colpevole di aver ascoltato il notiziario dell’emittente che incitava gli italiani a ribellarsi ai tedeschi e ai fascisti mentre la pagina della Cronaca di Trento confermava la riattivazione della funivia per Sardagna colpita dal bombardamento di un anno prima.
Ma non c’è tempo per leggere il giornale perché da ovest, da dietro il Bondone, sbuca la prima squadriglia di una formazione di bombardieri americani. Sono le 13.45; non c’era stato allarme o, forse, i supersiti di quell’incursione non ricordavano il suono delle sirene che, invece, erano state azionate un’ora prima. La gente corre verso i rifugi mentre il primo grappolo di 30 ordigni colpisce il cimitero squassando il terreno, scoperchiando le tombe. Resta in piedi la casa del custode dove viveva Camillo Rossi e con lui si salvano due sacerdoti: Ermenegildo Bonavida e Pietro Gregori. Via Vittorio Veneto, via Perini, via Malfatti sono colpite dalla prima ondata; le bombe della seconda si abbattono sul Seminario minore e sull’ospedale S. Chiara di via Santa Croce. In via Verdi è colpito l’edifico delle scuole elementari oggi sede della Facoltà di Sociologia; è gravemente danneggiato il convento di Maria Bambina, distrutta la chiesa di via Borsieri assieme a molte case di via Travai. In piazza Duomo è danneggiata la cattedrale, demoliti gli edifici fra via Cavour e via Belenzani. Via Oriola è profondamente colpita e sono distrutti con l’albergo Aquila Nera di Alberto Chiesa, i vicoli Schivabriga e Scorzafighi. Le bombe distruggono tutte le case di via Roggia Grande, danneggiano il Cinema Modena dove quel giorno il cartellone annunciava «Nozze di Sangue» con Fosco Giacchetti e Luisa Ferida.
Nell’antico rione di San Martino, forse l’unico della città che ancora oggi mantiene la sua storia e la tradizione di quartiere, è distrutta la chiesa con l’antico altare degli zatterai dell’Adige con alcune case di piazza Centa, di via Torre d’Augusto, di via Vannetti e quelle della Beveradora, lo stretto passaggio lungo il quale, quando l’Adige scorreva ai piedi del borgo, il bestiame veniva portato a bere le acque del fiume e sono devastate le officine dello scalo Filzi dove si riparavano le locomotive. Si contano i morti: sono 124, i feriti quasi 200 e vennero portati, adagiati alla meglio sul pianale di alcuni autocarri della Wehrmacht, a Pergine dove già in quella notte, vennero trasferiti, nelle strutture del manicomio, i reparti dell’ospedale civile. Decine di corpi sono stesi sul pavimento della camera mortuaria di Santa Chiara. Figure informi, dilaniate, imbrattate di sangue, terra, polvere; volti irriconoscibili e in un angolo, brandelli di braccia, gambe: un medico scattò una fotografia che testimonia l’orrore. In altre foto si vedono soldati tedeschi e carabinieri a dimostrare come a Trento, l’Arma comandata dal colonnello Michele de Finis continuasse a mantenere autonomia e indipendenza durante l’occupazione tedesca.
Nell’elenco dei morti ci sono i nomi di Maria Lisimberti e di suo figlio Enrico, di Franco Luisi e del ferroviere Iginio Crema. Il suo corpo venne trovato sei giorni dopo il bombardamento in largo Nazario Sauro, sepolto con altri ferrovieri dalle macerie. Morirono i fratelli Luigi e Lino Franceschini che stavano per andare in pellegrinaggio al santuario di Pinè perché il giorno dopo, appunto Luigi doveva presentarsi in caserma per essere arruolato. Le bombe uccidono sulla soglia di una trincea paraschegge Teresa Cunego e sua figlia Carmen di 15 anni. Anche Augusto Osele si era rifugiato in una trincea scavata vicino all’ospedale ma aveva deciso di lasciare quel riparo per sparire nell’esplosione di una bomba. Accanto a lui un’infermiera dell’ospedale, suor Agnese. Che rimase incolume e si gridò al miracolo. Anche gli abitanti della Bolghera si sentirono miracolati perché i bombardamenti risparmiarono il quartiere e quando finì la guerra, gli abitanti di quel rione eressero il capitello che c’è all’inizio della salita che porta al villaggio Sos e per molti anni, il 13 di maggio attorno alle 20, i fedeli della parrocchia di Sant’Antonio si radunavano attorno a quel tabernacolo per recitare il Rosario.
In quel mese di maggio cominciò per gli abitanti di Trento la vita, grama, nei rifugi scavati in San Martino, nella zona dei giardini di piazza Venezia e in fondo a via Grazioli, alla Busa. Chi poteva, sfollò a Civezzano, Pergine, nel Pinetano; ad ogni ora cacciabombardieri sfrecciavano a volo radente, mitragliavano tutto quello che si muoveva e poi cabravano per diventare un puntino lontanissimo nel cielo. Cercavano le colonne tedesche, ma le pallottole non riconoscevano le bandiere e così si cominciò a spostarsi solo di notte. I reparti tedeschi si muovevano a piccoli gruppi su veicoli coperti da frasche e grandi reti mimetiche. Anche i soldati avevano paura. Giravano sempre armati e dove c’erano gli accampamenti alcuni di loro stavano fra i cespugli, di sentinella. «Hanno paura dei partigiani» dicevano a voce bassissima le donne che non andavano più al lavatoio perché anche quello poteva esse un bersaglio della guerra che in ogni istante poteva arrivare dal cielo. (articolo di Luigi SARDI)

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