Ristoranti cinesi, clienti in calo La paura del virus svuota le sale

di Daniele Benfanti

Psicosi vera e propria no, ma voglia di non rischiare certo, eccome. I trentini di fronte alla pandemia del coronavirus mantengono il tradizionale approccio misurato e tendenzialmente razionale, ma se fidarsi è bene, non fidarsi, forse, è meglio. Tradotto: tutti tranquilli nei negozi, empori e bazar cinesi, ma al ristorante etnico meglio di no.

La nostra esplorazione nel mondo del commercio cinese in città comincia dal market Rispa di Corso 3 novembre, quasi all’angolo con via Perini. Si vende un po’ di tutto, soprattutto oggettistica e non-food. Song è la ragazza cinese che gestisce la cassa e consiglia i clienti. Dagli italiani si fa chiamare Debora. Alle 11.30, per pagare, c’è una piccola fila. «Sono da dieci anni qui in Italia – racconta – e un leggero calo nelle vendite in quest’ultima settimana c’è effettivamente stato. Noi veniamo da una zona molto lontana da Wuhan (la megalopoli patria del virus, ndr). Il nostro Paese sta cercando delle soluzioni all’epidemia; Trento è davvero lontana e qui ci sono pochi cinesi». Edy Gasperin esce dal negozio con borse e scatoloni: «Sono una “zia colf” del Villaggio Sos. Ho comprato materiale per preparare i costumi di carnevale fatti in casa per i nostri ragazzi ospiti. Non ho timore, ho fatto acquisiti qui tranquillamente. Bisogna vivere. Ci ricordiamo dell’ansia per la mucca pazza? Questo virus mi spaventa non per un contagio improbabile, ma per cosa l’uomo oggi è in grado di creare a proprio danno».

La signora Luigina, 88 anni, abita in zona e viene spesso al Rispa Market: «Faccio piccoli acquisti e in questo negozio mi trovo bene. Paura? Alla radio ascolto tutte le notizie e non so se esagerino o se sia necessaria tutta questa apprensione. Certo, per gli oggetti cinesi mi fido, ma il mangiare lo eviterei».

Ecco dove l’allarme silenzioso si è trasformato in composta «diserzione». Nei ristoranti. Anche i trentini stanno evitando i ristoranti cinesi. Al complesso Tridente di Trento Nord Leo (il suo nome cinese è Yechao), 34 anni, viene dalla provincia di Zhe Jìang e gestisce da due anni il ristorante “China Town”, rilevato da un’altra famiglia cinese che lo aveva avuto per vent’anni. In sala due-tre tavoli occupati: «Abbiamo perso il 70-80% dei clienti – racconta, mentre dalla cucina la cameriera esce con due piatti fumanti di spaghetti di soia per i pochi clienti presenti – sia a pranzo che a cena. È un calo preoccupante per noi. Non ci resta che sperare che duri poco. Dobbiamo avere pazienza. Sono timori immotivati: noi ci riforniamo di materie prime alla Metro. Sono prodotti italiani ed europei».

Pazienza e orgoglio accomunano gli esercenti cinesi di Trento: «Il nostro – dicono – è un grande Paese e saprà uscire da questa situazione». Al ristorante, modello «all you can eat», «Wok for you» al piano superiore del complesso del Mediaworld, in via Brennero, c’è poca voglia di parlare. I titolari cinesi preferiscono non rilasciare dichiarazioni ma la grande sala in questo sabato è popolata solo da qualche isolato cliente. «Abbiamo notato un calo di clienti in quest’ultima settimana di gennaio, ma l’ultima settimana del mese, a dire il vero, anche i trentini hanno meno soldi in tasca», commenta con filosofia Hong-Mei Zhan, del ristorante Saporoso (cucina giapponese e thailandese) di via dei Mille: «Io sono nata a Shangai – racconta – ma ho origini thailandesi e giapponesi. Siamo qui da 15 anni e i nostri clienti ci conoscono bene. La nostra non è cucina cinese, ma colleghi di Roma ci dicono che in questi giorni hanno i locali vuoti».

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