Perché quelle folle nelle città? L'analisi dei sociologi Carlo Buzzi e Gaspare Nevola

di Daniele Benfanti

Cosa spinge migliaia di persone ad ammassarsi nelle vie dello shopping delle grandi e medie città, nonostante la pandemia non dia tregua rispetto a numero di contagi, ricoveri ospedalieri e decessi?

Perché, nel suo piccolo, il popolo della neve di Trento si concentra tutto sul Bondone in una domenica in cui c'è il manto bianco ma gli impianti di risalita sono chiusi proprio per evitare assembramenti? La psicologia sociale può provare a dare qualche spiegazione.

«Mi dicono che si può andare. Non è vietato. Ci vado, tanto sono prudente. E magari tra poco mi richiudono dentro»: riassume così il pensiero medio dominante il professor Carlo Buzzi, sociologo dell'Università di Trento. Ma, mettendo a fuoco ancor più nel dettaglio il comportamento sociale delle masse, il professor Buzzi argomenta: «I fenomeni di massa sono come onde che si frangono sempre sugli stessi scogli. Nel momento in cui si alza la diga, il moto ondoso riprende. Ci sono grossi richiami alla responsabilità individuale, ma tante azioni individuali che non tengono conto del comportamento degli altri creano un'azione collettiva che diventa rischiosa e controproducente. Qui vediamo l'immaturità del genere umano».

Insomma, il via libera delle autorità a frequentare i centri storici per dare fiato al commercio in vista del Natale, diventa un'autorizzazione che ognuno interpreta individualmente e un po' egoisticamente.

Il risultato, però, è un affollamento non compatibile con la situazione sanitaria.

Buzzi individua una forte debolezza nella società edonista dei consumi: «Non riusciamo più a bastare a noi stessi. I ritmi della società dei consumi e della spettacolarizzazione ci impongono di cercare relazioni all'esterno. Con gli altri.

Magari siamo soli, la relazione è superficiale, ma ci sentiamo immersi nel gregge. In questo riconosciamo noi stessi. Pensare a rinunciare è difficile, perché oggi è tramontata la società che trovava appagante anche rimanere a casa a coltivare i cosiddetti hobby, che non esistono più, perché abbiamo perso molto della dimensione interiore. Anche la rapidità del mondo digitale e delle sollecitazioni dei social ci spinge a non saper aspettare, a non riuscire ad adattarci a una situazione di emergenza». C'è poi – conclude il professor Buzzi – anche un'inconscia spinta a uscire e frequentare i luoghi che si sa saranno affollati, quasi a dire… «va tutto bene».

Sociologo e scienziato della politica, il professor Gaspare Nevola, sempre dell'ateneo trentino, centra il focus anche sulla politica: «Governo, regioni, province autonome con i loro comportamenti oscillanti, incerti, contraddittori non hanno molto aiutato l'opinione pubblica a farsi un'idea coerente della gravità della situazione. Gli stop & go frutto della contingenza e dell'inseguimento del dato di giornata dei contagi, ma anche del consenso, disorientano.

Da sociologo posso dirlo: qui nessuno ha in mano la situazione. Ma nessuno vuole ammetterlo. Il governo Conte, nato piuttosto per caso, ha perso autorevolezza. È mancata un'opera educativo-comunicativa efficace». Il professor Nevola, poi, osserva come un'emergenza come la pandemia metta a nudo il carattere della nostra società: «Le generazioni oggi in vita non conoscono il sacrificio dell'oggi per il domani. Non me la sento di dare la colpa ai singoli. È una questione sociale e anagrafica. Nella prima ondata c'era molta paura. Ora ci sono tre pulsioni diverse nella sfrangiata società italiana: i "salutisti", che forse in Trentino prevalgono; chi ha costruito la propria identità sul lavoro, sul fare; gli edonisti, che vivono per divertirsi. Questa scala di priorità diverse ci fa vivere anche il virus in modo schizofrenico».

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