Facoltà di Medicina, un suicidio finanziario

La lettera al direttore

Facoltà di Medicina, un suicidio finanziario

Caro direttore, come cittadino ritengo attivare una Facoltà di Medicina un suicidio finanziario per la mia Provincia. Leggendo i giornali o parlando con i colleghi sembra che il problema sia chi guida il processo o valorizza le competenze etc. Come se il problema fosse chi, tra UNITN, UNIPD o Provincia, guidi il Titanic verso la tragedia.
Molti cittadini, politici, e colleghi non realizzano che i docenti sono il costo minore, la punta dell’iceberg: servono le segreterie, gli edifici ma soprattutto i laboratori, le attrezzature, le sale operatorie di prova, gli infermieri, i tecnici etc. Per Clinica Chirurgica non basta un docente, dei banchi ed uno della cooperativa pulizie che cancelli la lavagna. Nel medioevo bastava una secchiata per togliere il sangue dalla cattedra e la cavia umana era per strada. Tutto questo chi lo paga?
Capita l’enormità del costo, è chiaro perché Padova si tira indietro senza la collaborazione di UNITN. Dal punto di vista patavino la Provincia era Babbo Natale: avrebbe pagato vecchi docenti impromuovibili o giovani rampanti destinati a lunga attesa senza che Padova si dovesse accollare i costi veri di gestione (appioppati ad UNITN e quindi alla Provincia). Un affare, ma per chi? Con o senza Padova i costi restano enormi. Costi che UNITN ovvero la nostra piccola provincia (perché da lì i soldi vengono) potrà sostenere solo tagliando pesantemente altri servizi, incluso gli stessi servizi sanitari. Oppure con un servizio di serie C2, non potrà più permettersi la serie A.
Facciamo una divisione da scuola elementare: il Veneto, con quattro milioni di abitanti ed un prodotto interno lordo di oltre 160 miliardi di euro, ha solo due facoltà di Medicina costruite in secoli e decenni. Come mai? Il Trentino ha dieci volte meno abitanti ed un PIL altrettanto piccolo.... Anche con l’autonomia, i soldi vengono sempre dalle tasse di noi cittadini e delle nostre imprese. Per arrivare ad una facoltà ogni due milioni di abitanti ci manca un milione e mezzo di persone e qualche miliarduccio di euro. Cercare di finanziare una cosa del genere è un suicidio. Se il problema è veramente la mancanza di medici, la soluzione è quella delle borse di studio vincolate: studi dove vuoi, la Provincia ti paga gli studi ma poi ritorni negli ospedali Trentini almeno altrettanti anni. Singapore, una piccola nazione, usa questa strategia da tempo.

C’è un aspetto comico nella tragedia. La Provincia dichiara che farà Medicina per gli studenti trentini ma non si è fatta spiegare bene il numero chiuso nazionale: svenerà il Trentino per far studiare qui siciliani e calabresi (od i veneti non ammessi a Padova). Da cagliaritano con i figli in Trentino lo trovo un bellissimo e beffardo scherzo del destino per la Lega del «Prima i Trentini». Come cittadino credo che UNITN e la Provincia dovrebbero dare prova di saggezza e postporre la decisione chiarendo la vera dimensione del problema. Poi uno potrà decidere che Medicina val bene raddoppiare i ticket ai malati, ridurre i contributi per gli asili, o togliere il supporto alle strutture turistiche (la coperta da qualche parte va tirata) ... oppure fermarsi finché siamo in tempo. Un caro saluto dalla tolda del Titanic Trentino...

Fabio Massacci


 

Non vedo ancora la tolda del Titanic

È molto interessante che da un professore universitario come lei arrivino queste parole. Non vedo ancora la tolda del Titanic, devo essere sincero. E non vedo l’iceberg, soprattutto. Ma anche le sue riflessioni - insieme alle tante altre che abbiamo ospitato in queste settimane - servono a chiarire una serie di equivoci: sui costi (visibili e palesi, nonché invisibili e difficili da immaginare), sui rapporti fra il Trentino e Padova, su una facoltà che non potrà comunque in automatico mettere al primo posto gli aspiranti medici trentini, su ciò che un investimento come quello in discussione potrebbe comportare per molti altri investimenti, sul non facile dialogo fra diversi atenei e anche, sul possibile Titanic e sul possibile iceberg. Io continuo a pensare che sia giusto parlarne e che in tal senso sia stata giusta l’accelerazione impressa sia dal presidente che dal rettore. Però ci sono troppe cose da chiarire. La prima è solo all’apparenza semplice: Trento ha bisogno di una facoltà, ha bisogno di un “semplice” corso di specializzazione, ha bisogno di potenziare ciò che c’è già sul territorio, ripartendo ad esempio dal grande lavoro (sulla scuola di medicina) che da anni sta portando avanti Fbk in un continuo dialogo con l’Ordine dei medici e con altri atenei, ha bisogno di qualcosa di diverso e di unico? Se non si risponde a questa domanda, tutto il resto è aria fritta. Sullo sfondo, comunque, resta lo scontro istituzionale pericoloso che ha allontanato i soggetti che dovrebbero affrontare e risolvere invece insieme la questione: la Provincia autonoma di Trento e l’Università di Trento. Due autonomie, per dirle con la felice frase usata ieri su questo giornale dal professor Deflorian.

Alla Provincia e all’Università - che procedono però per sgambetti e malintesi, per accelerazioni e brusche frenate - spetta il compito di dire di cosa abbia davvero bisogno il Trentino. Stabilito questo - ma nessuno ha ancora definito un approdo preciso - solo insieme, le varie istituzioni, possono cercare di costruire un percorso. Ora siamo però al fumo negli occhi. Ai sogni. Anche alle provocazioni e agli sgambetti: è infatti del tutto evidente che la Provincia ha buone armi per boicottare l’Università esattamente come l’Università ha ottimi bastoni da mettere nelle ruote della Provincia. Lei ha ragione a dire che bisogna fermarsi finché si ha ancora il tempo per farlo. Poi si può anche ripartire. Ma con le idee chiare. Magari ricordandosi che non siamo ancora riusciti a costruire un nuovo ospedale, che non sappiamo bene come tenere in piedi quello vecchio (che abbisogna di ulteriori investimenti e restauri) e che abbiamo enormi difficoltà a gestire, al di là delle promesse e delle strumentalizzazioni, la rete degli ospedali periferici. In tal senso va anche detto che possiamo formarne mille, di medici.

Ma non possiamo obbligare un medico ad avere come obiettivo di vita - e il mio è solo un esempio - il trasferimento a Cles, a Cavalese o a Tione. Scendiamo dalla (potenziale) tolda del Titanic e avviamo un confronto largo, franco, legato al Trentino degli anni che verranno e non alle prossime elezioni.

a.faustini@ladige.it

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