Una fase 2 un po' speciale Da casa a Punta Penia tra bici e scialpinismo

di Leonardo Pontalti

Fase due? Meglio duemila. Come i metri di dislivello coperti da sei amici fassani, in poco più di quattro ore di un triathlon sui generis: bici, escursionismo e scialpinismo. In ballo, né record né trofei. Soltanto la voglia di riscoprire il proprio territorio. Nonostante i divieti ancora in vigore e nel loro scrupoloso rispetto.

Con l’impossibilità di usare mezzi pubblici o privati per spostarsi con l’intenzione di fare sport o dedicarsi a escursioni, anche per chi vive nelle vallate in questi primi giorni di ripartenza può essere difficile raggiungere i sentieri e le cime più amate.
Un dettaglio che lunedì 4 maggio non ha tuttavia fermato sei amici fassani. Tutti esperti e, come si suol dire, “attivi nel ramo”, bisogna specificarlo: dal fondovalle hanno raggiunto Capanna Punta Penia, in Marmolada.

Protagonisti la guida alpina e rifugista del “Pertini” Lorenzo Battisti, le guide Maurizio Davarda e Tommaso Cardelli, l’accompagnatore di media montagna Andrea Vian, il tecnico del Soccorso alpino Stefano Tononi e Damiano Lorenz.

Tommaso Cardelli, peraltro, qualche anno fa fu protagonista con Cristian Dallapozza di un tour sulle alpi in bici e sci, sulle tracce di Heini Holzer, che descrisse in un blog sul nostro sito.

«Siamo partiti alle 8 da Vigo di Fassa in tre, Maurizio Davarda, Andrea Vian e io - racconta Battisti - poi a Canazei si sono uniti a noi Tommaso Cardelli, Damiano Lorenz e Stefano Tononi. Tutti rigorosamente a distanza, tutti con la nostra mascherina pronta a essere alzata in caso di necessità».

I sei hanno pedalato fino alla diga del passo Fedaia, sci pelli, scarponi, pale e sonde e tutto il resto nei loro zaini. «Alla diga siamo arrivati alle 10.15, dopo aver incontrato tre posti di controllo nei quali le forze dell’ordine ci hanno guardato più con incredulità che con sospetto».
Poi, al parcheggio, già dalla bici e rapido cambio di vestiario. Prima di iniziare l’ascesa: «Salendo abbiamo incontrato due agenti della forestale, due carabinieri impegnati in altri controlli e Guido Trevisan, gestore del rifugio Pian dei Fiacconi. Era andato a vedere se su fosse tutto in ordine».



Così, incrociando altre “creature della montagna”, Lorenzo e i cinque amici hanno scoperto che altri avevano avuto la stessa idea. Anche più pazzi di loro: «Ci hanno raccontato di aver incrociato qualche ora prima un ragazzo che era partito da Predazzo, in bici, con lo splitboard (uno snowboard pieghevole, ndr), che diceva di voler salire a Punta Rocca: non l’abbiamo incontrato, infatti. Ci hanno detto che ha raccontato loro di essere stato fermato a Moena e dopo aver detto alla pattuglia dove stava andando, non ci volevano credere. Noi, invece, abbiamo incontrato invece due ragazzi di Padova, saliti dal versante veneto».

Lorenzo, a che ora siete arrivati a Capanna Punta Penia?

«Alle 12.30 circa. Poi dopo una breve pausa, siamo scesi dallo spallone nord ovest, la parete nord è già troppo scarsa come neve».

Poi, il ritorno a casa in bici.

«Ventitre chilometri ad andare e altrettanti a tornare. E, in tutto, 2.000 metri di dislivello».

L’idea è stata sua o degli amici?

«Mia devo dire, poi gli altri mi hanno subito dato corda. Negli anni scorsi avevo sempre voluto fare la Trirace Dolomites, da Soraga al Pordoi con bici, skiroll e corsa, ma in estate sono al rifugio. Così ho pensato di approfittare del momento. È stato un bel modo per godersi il nostro patrimonio in maniera diversa, più lenta, più piena. Salendo in macchina al passo è tutto più rapido, te lo godi di meno».

Potrebbe essere una proposta turistica. Almeno per i più allenati, o approfittando delle bici elettriche.

«Alcuni dei miei amici sono saliti con quelle, io no in verità, ma ci si aspettava».

La fatica vera, al di là di quella che si è e vi siete goduti, è quella che la attende ora al rifugio. Che annata potrà essere?

«Difficile. E io almeno al “Pertini” ho spazio attorno per poter allestire quelle strutture esterne che in molti indicano come una possibile soluzione. Ma penso ad altri che gestiscono strutture che sorgono in punti più esposti. E poi, cosa succederà se uno di noi, o un dipendente o un ospite dovesse risultare positivo? Le incognite sono tante ma stiamo lavorando tutti assieme per garantire il nostro servizio».

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