Mele, i pesticidi sono serviti in tavola Greenpeace, analisi anche su campioni dal Trentino
La buona notizia è che, una volta tanto, l'Italia non è maglia nera. La cattiva notizia è che, comunque, l'88% delle mele coltivate con sistemi convenzionali (ossia non biologici) sono risultate contaminate da residui di pesticidi, e nel 30% dei casi sono state trovate due o più sostanze chimiche nei frutti noti per «togliere il medico di torno». Mele che arrivano anche dal Trentino e dall'Alto Adige.
Non è una novità: il rapporto «L'abuso di pesticidi nella produzione europea di mele», appena pubblicato da Greenpeace, conferma quanto già era emerso all'inizio di giugno, quando la stessa organizzazione ambientalista aveva reso noti i risultati di una serie di campionamenti effettuati in aprile nei terreni e nei corsi d'acqua di vari Paesi. Sotto accusa erano finiti anche i meleti della Valle di Non, con una presenza di Chlorpirifos-etile (un pesticida bandito negli Usa e considerato neurotossico e mutageno) talmente elevata che in laboratorio usciva dal range di qualificazione. Ma non c'era solo quella sostanza nei terreni e nelle acque: Boscalid, Bupirimat, Buprofezin, Carbendazim, Methoxyfenozide, Oxadiazon, Penconazole, Pyrimethanil e Thiophanatemehyl gli facevano buona compagnia.
Ora, il nuovo rapporto si sposta sui frutti, sul raccolto 2015: Greenpeace ha fatto analizzare da un laboratorio tedesco indipendente 126 mele vendute in grandi catene di supermercati di 11 Paesi europei: 17 i frutti biologici presi in esame e risultati completamente «puliti». Confortante, ma nel complesso le analisi sui campioni europei hanno permesso di individuare ben 39 tipi diversi di pesticidi. Se le situazioni peggiori sono state rilevate in Spagna, Bulgaria e Olanda (con una media per frutto rispettivamente di 4,3 residui, 4 residui e 3,4 residui),nelle nove mele Golden Delicious, Royal Gala e Pink Lady provenienti dall'Italia e dal Trentino-Alto Adige (Greenpeace non circoscrive la zona precisa di produzione) sono stati trovati 1,3 residui di media. Le mele italiane analizzate sono state acquistate nelle catene Auchan, Lidl, Carrefour e Naturasì (il campione biologico).
Il risultato per il nostro Paese è che nei tre campioni acquistati presso Auchan sono stati trovati il THPI (metabolita del fungicida Captano/Captafol) e Boscalid in quantità che variano da 0,013 mg/kg a 0,123 mg/kg; in due delle tre mele prevenienti da Lidl sono stati rinvenuti ancora il THPI (metabolita del Captano/Captafol), Boscalid e Bupirimat in quantità da 0,012 a 0,056 mg/kg; e nei tre frutti acquistati da Carrefour sono ancora stati ritrovati lo stesso THPI e Boscalid in concentrazioni variabili da 0,019 mg/kg a 0,115 mg/kg. Concentrazioni basse anche all'estero, ma questo non rassicura Greenpeace, «perché - dice il rapporto - metà dei pesticidi rilevati in tutto lo studio hanno effetti tossici noti per organismi acquatici come i pesci, ma anche per le api e altri insetti utili. Molte di queste sostanze chimiche, inoltre, sono bioaccumulabili, ossia hanno impatti negativi sulla riproduzione o altre proprietà pericolose. Infine, a causa dell'incompletezza di dati e conoscenze disponibili soprattutto sugli effetti di residui multipli, non si possono escludere rischi per la salute umana».
Solo per restare alle sostanze trovate nella frutta italiana: per quanto riguarda il Boscalid, esiste un dubbio di cangerogenità e di effetti negativi sul sistema riproduttivo e sullo sviluppo; il Captano è cancerogeno; il Bupirimat è sospetto per il sistema riproduttivo e dello sviluppo. Il dibattito, si sa, in Trentino è molto caldo. E nelle sue conclusioni Greenpeace chiede ai supermercati di abbandonare l'acquisto di frutti con pesticidi pericolosi, incentivando gli agricoltori a preferire pratiche di coltivazione sostenibili. «Dai campi al piatto, i pesticidi chimici sono una presenza troppo frequente nei nostri alimenti - dichiara Federica Ferrario, responsabile della campagna Agricoltura Sostenibile di Greenpeace -. Anche se tutti i residui individuati rientrano nei limiti stabiliti dalle normative, la varietà di sostanze chimiche trovate mostra che nelle coltivazioni convenzionali è pratica comune irrorare i meleti con applicazioni multiple di pesticidi. Tutto questo, insieme alla scarsa conoscenza dei possibili impatti dei "cocktail di pesticidi" sull'ambiente e sulla salute, è fonte di grande preoccupazione. E non è accettabile che gli agricoltori e le loro famiglie debbano sopportare il carico tossico di questo fallimentare sistema di agricoltura industriale».