Sandro Yemi Okutuga, ingegnere trentino al Sant'Anna
La storia di Sandro Yemi Okutuga
Chapeau. Solo in rari casi si usa mettere questa parola alla fine di un articolo, di un'intervista, di un ritratto. E, in ogni caso, lo si fa alla fine del pezzo. Questa volta, strappo allo strappo, lo mettiamo subito, in apertura. Il perché lo si scopre leggendo la storia, o meglio i primi ventiquattro anni di storia, di Sandro Yemi Okutuga.
Segnatevi il suo nome: forse lo ripenserete quando, tra qualche anno, coprirete la tratta Milano-Roma in mezz'ora, viaggiando a oltre mille chilometri orari all'interno di un cilindro dove l'aria, a bassissima pressione, riduce al minimo la resistenza al movimento, grazie a Hyperloop, quello che è già stato ribattezzato il «treno del futuro». In quel progetto c'è, infatti, lo «zampino» di questo ragazzo trentino, di Mattarello per la precisione.
Ma prima di parlare di questa innovativa idea made in Italy (e made in Trentino) che a fine mese sbarcherà in Texas, facciamo un salto all'indietro, andando a conoscere la storia dell'ingegnere che l'ha realizzata, insieme al proprio team. Sandro Yemi Okutuga («mi presento sempre come Sandro, ma ci tengo anche al mio secondo nome nigeriano, Yemi») nasce a Mattarello nel febbraio del 1992.
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«Mio papà è nigeriano, è venuto in Italia per studiare tanti anni fa. Mia mamma, invece, è nata e cresciuta in Svizzera, dove si erano trasferiti i miei nonni trentini, emigrati da giovani e poi tornati. Ho degli zii in Svizzera e tanti parenti in Nigeria, dove purtroppo non sono mai stato. Ma prima o poi ci andrò. Ho una sorella più grande, che ha 31 anni e, attualmente, sta facendo il lavoro più bello del mondo: fare bambini. Sono diventato zio un anno fa e ora sta aspettando il secondo. Poi ho un fratello più piccolo, sedicenne che sta frequentando le superiori alla scuola agraria di San Michele. In famiglia parliamo italiano, inglese e tedesco. Con papà da qualche anno parlo inglese, con mamma italiano, ma se si arrabbia o se sta cadendo qualcosa dal tavolo parte un inconfondibile "achtung"». Trentino, Svizzera e Nigeria si incrociano in una sola famiglia. Il papà fa il camionista, la mamma lavora come cassiera alla Coop, e intanto Sandro Yemi frequenta il Galilei («un bel periodo: andavo bene a scuola, mi divertivo e avevo tanti amici») coltivando una grande passione per il pallone e il canestro.
«Tra medie e superiori ero molto impegnato con il basket: alle medie ero alto 1,80 e me la cavavo abbastanza bene vestendo la canotta bianconera dell'Aquila Basket. Sia chiaro, non ero un talento da serie A, però fino in C1 ci sarei potuto arrivare, forse. Peccato che poi ho smesso di crescere e, soprattutto, ho avuto qualche infortunio alla caviglia». Meno sport e più studio, quindi. Il giovane studente galileiano prende parte alle finali nazionali di matematica e di fisica, in quella che sarà la sua prima esperienza in ambito accademico. Dopo la maturità, l'università. «Mi interessava la matematica, ma alla fine mi sono iscritto a ingegneria meccanica alla Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa. Così sono andato?». Fermi tutti, time out, stop. Gestoppt, come direbbe la mamma svizzerotrentina di Sandro Yemi. Stiamo parlando della prestigiosa e selettiva scuola di Pisa, quella a numero chiuso, quella che individua gli studenti migliori a livello nazionale, quella che sforna talenti? «Beh (ride), se vuoi possiamo metterla così, sì. Ho superato il concorso che, è vero, è piuttosto selettivo. Ma con un po' di impegno ce l'ho fatta. Ora proseguo?». «Sì, prego», rispondiamo mentre segniamo il suo nome sotto la voce «umiltà».
«Dal 2011 sono a Pisa. Ho la laurea triennale in meccanica e discuterò quella specialistica a inizio 2017. Ho sempre avuto una grande passione per le auto da corsa e, di fatto, sto studiando quello». Ha mantenuto rapporti con Trento? «Nei primi anni tornavo spesso, soprattutto perché avevo una ragazza a Trento. Poi ci siamo lasciati e ho iniziato a tornare meno spesso, anche se mi mancano i miei fantastici genitori, dei quali sono orgoglioso e che mi appoggiano e mi hanno sempre lasciato grande indipendenza. Poi ci sono gli amici: ho una compagnia a Pisa, ma gli amici storici sono in Trentino: siamo un gruppo unito».
Fatto il ritratto, veniamo alla più stretta attualità, e torniamo a quel treno che viaggia a mille all'ora. Elon Musk, fondatore delle aziende Tesla e Space X, ha indetto tempo fa un concorso mondiale: obiettivo della competizione era individuare le idee vincenti per costruire il modello destinato al test dell'Hyperloop, il treno supersonico che vuole rivoluzionare i trasporti terrestri. Milleduecento squadre da tutto il mondo presentano un progetto, centoventi (solo dieci europee) vengono selezionate. Tra queste c'è il team della Scuola Superiore Sant'Anna: Emanuele Raffaele, Luca Cesaretti, Lorenzo Andrea Parrotta, Tommaso Sartor, Giorgio Valsecchi, Giulio De Simone e, last but not least, Sandro Yemi Okutuga. Tutti di età compresa tra i 23 e i 26 anni. «I miei compagni provengono da un po' tutta Italia, dal Veneto alle Marche, dalla Puglia al Lazio. Con grande entusiasmo abbiamo lavorato insieme e presentato la nostra idea, ovvero uno studio sulle sospensioni dell'Hyperloop. Siamo stati selezionati e tra il 27 e il 31 gennaio saremo in Texas per la gara mondiale, un sorta di grande fiera delle idee. In questi giorni, tramite l'università di Pisa, stiamo raccogliendo fondi per fare un video ufficiale del nostro progetto e per comprare l'abbigliamento per il team. Poi ad Austin, in Texas, cercheremo di vincere uno dei tre premi in palio e, soprattutto, cercheremo dei finanziatori. In realtà i finanziatori verranno dai noi, speriamo solo che la nostra idea piaccia».
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La «SpaceX Hyperloop Pod Competition» punta ad attirare menti brillanti, cruciali per il rapido sviluppo del progetto, e potenziali investitori. Il primo test del modello, in scala 1:2, è previsto in estate negli Stati Uniti, in un cilindro lungo poco più di un chilometro e mezzo. Le sospensioni italiane potrebbero essere realizzate nel prototipo destinato ai test in estate e i sette ragazzi farebbero parte del gruppo incaricato della sperimentazione. «Senza dubbio questo viaggio negli Usa rappresenta per me il punto più alto della mia vita. Siamo finiti su quotidiani e telegiornali nazionali, sono veramente orgoglioso. In realtà sto seguendo anche un altro progetto: si tratta dell'E-Team, la squadra automobilista dell'università di Pisa. Abbiamo una macchina da corsa, fatta e sviluppata da noi studenti, che corre con le auto create da altre università in giro per il mondo».
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Il sogno professionale potrebbe essere quello di arrivare in Ferrari e progettare la macchina per i gran premi di Formula 1? «È senza dubbio una delle opzioni che potrei avere per il futuro. Spero di poter lavorare per una casa automobilistica e per questo tengo gli occhi ben aperti verso l'estero, dove potrebbero esserci delle possibilità. In ogni caso vorrei tenere i legami ben saldi con Trento, per tornare di tanto in tanto a mangiare i canederli del nonno».
La vita privata, il basket, il Sant'Anna, il treno a mille all'ora, gli Usa e la Formula 1: in tutto ciò le origini nigeriane, insomma, qualche volta... «Ho capito la domanda. Qualche provocazione, mentre crescevo, c'è stata. Io le archivierei come ragazzate, diciamo che le ho prese come un'occasione per insegnare qualcosa a qualcuno che considero ignorante. Vedi, se non ho mai accennato a parole come integrazione perché io mi sento trentino, di Mattarello, anche se ho un cognome "strano"».
Ricordate quel «chapeau» dell'inizio? Ora avete capito perché?