I bambini schiacciati dai ritmi eccessivi
Troppi impegni, giornate scandite dagli appuntamenti, come quelle di un top manager, ansia da prestazione...
Siamo sicuri che i nostri figli non abbiano troppi impegni? O forse li stiamo derubando di una risorsa per loro essdenziale, il tempo libero?
Ecco, in proposito, la riflessione di Angelo Prandini, coordinatore della Cooperativa La Bussola:
«Marco è un bambino impegnato. La mattina va a scuola alle 8, accompagnato da genitori, attenti e indaffarati, che lo passano a riprendere alle 16 per portarlo: due volte a settimana al corso di nuoto, una volta a lezione di chitarra e una a fare un po’ di potenziamento di matematica, in cui è deboluccio.
Resta libero il venerdì pomeriggio, dedicato a fare i compiti che, però, Marco non riesce quasi mai a ultimare e che si trascinano fino alla domenica sera («te lo avevo detto di non aspettare l’ultimo momento», tuona sua madre in queste occasioni).
Marco ha delle giornate piene come quelle di un manager e, sollecitato dal tema «Cosa farò da grande», scrive che da grande vorrebbe fare il pensionato, giusto per provare l’ebbrezza di avere un po’ di tempo libero, di vivere giornate in cui essere baciato dalla luce del sole e non soltanto da quella dei neon.
Il nome è di fantasia, gli accadimenti no.
Ci sono parecchi Marco in giro. Magari non è il corso di nuoto, ma sono il calcio o il tennis a impegnare le loro giornate e le lezioni di matematica sono sostituite da quelle di lingue straniere.
Il problema è che, tirate le somme, Marco non ha il tempo per vivere la sua infanzia con la possibilità di scegliere cosa fare. Fosse anche non fare nulla.
Lo sport è importantissimo, come lo è l’apprendimento della matematica e di molte altre discipline. Però, ciò che viene prima di tutto, prima della matematica, delle lingue e di un rovescio impeccabile, è riconoscere ai bambini il tempo, i ritmi e gli spazi per giocare liberamente.
Di tutti i diritti celebrati il 20 novembre (Giornata internazionale per i diritti dell’infanzia) mi pare che quello del gioco libero, collettivo ed all’aria aperta sia il meno rispettato nel nostro mondo. Un mondo che ama definirsi avanzato, ma che, anno dopo anno, arretra nella sua capacità di riconoscere i bisogni profondi dei bambini. A mancare non sono più soltanto gli spazi fisici (campi da calcio a libero accesso, prati, …).
A mancare è ormai il tempo libero, perché le agende, fitte fitte, di molti bambini non prevedono svaghi e, quando concedono momenti di gioco, lo fanno a sera, tra le mura domestiche, davanti a un monitor, attraverso un collegamento in remoto con qualcuno, non necessariamente un amico, con cui si gioca senza incontrarsi.
Gioco e relazione vanno a braccetto dall’origine dell’umanità. Senza il gioco con gli altri il patrimonio di abilità cognitive, sociali e motorie di cui dispone un cucciolo d’uomo non matura. Non si tratta di un’opinione, le neuroscienze lo stanno dimostrando in modo netto ed inequivocabile.
Invece di aggiungere ancora qualcosa alle giornate di bambini (e genitori) è necessario avere la lucidità di capire che la sfida è «togliere». Togliere un po’ di compiti (non me ne vogliano gli insegnanti, capaci e motivati, che incontro ogni giorno), togliere un po’ di impegni extrascolastici, togliere un po’ di materie e nozioni, togliere un po’ di monitor (computer, telefonini, tablet, …), togliere un po’ di ansie da prestazione e di psicologismi.
Se torniamo a fare spazio intorno ai bambini, loro sapranno come dargli un’anima. Ce l’hanno scritto dentro e basta un prato e qualche amico a dimostrarlo».