Cannabis light al bando? Rivolta dei commercianti: «Class action»
Mentre la politica si divide, tra chi agita la decisione della Cassazione di poche e sibilline righe contro la cannabis light come uno strumento per chiudere gli shop e chi ritiene che invece imponga di mettere mano a una legge più chiara, commercianti e rivenditori pensano a come resistere. «Ho chiuso un pizzeria da asporto per aprire questo negozio, ora ci vogliono mettere sul lastrico dall’oggi al domani e senza alcuna colpa. È come se volessero combattere l’alcolismo vietando la vendita di birre analcoliche.
Organizzeremo una class action», dice Gioel Magini, titolare del «Cannabis Amsterdam Store» di Sanremo.
E la sua proposta di far partire una azione legale di massa riscuote consensi. «Sono d’accordissimo - gli fa eco da Roma Paolo Molinari, presidente dei Confcanapa, una delle associazione di categoria -. Partiamo dalla raccolta firme per promuovere un settore che dà posti di lavoro e mettiamo insieme chi sta perdendo i soldi. Si sta facendo una battaglia ideologica contro un comparto che ogni anno fa aprire tremila partite Iva». «Ci vorrebbero un’unità associativa. Si muovano le organizzazioni come Confcommercio», chiede Gennaro Maulucci, promotore della fiera itinerante ‘Canapa Mundì, che proprio oggi apre i battenti al Testaccio, quartiere storico romano.
Intanto girando per i negozi - in Italia sono oltre 1300 - si vedono saracinesche abbassate. Molti di quelli aperti hanno tolto dagli scaffali i prodotti sotto la lente della giustizia.
C’è attesa e preoccupazione, si recrimina sulla «speculazione politica» che sta creando «fake news» sui prodotti a base di marijuana. «Si tratta proprio di un’altra cosa», chiarisce Maurizio Gola, titolare di una rivendita di Milano che espone il marchio ‘Santamarià con evidente riferimento alla marijuana.
«Qui vengono donne a comprare l’olio per i dolori mestruali, sportivi per i prodotti antidolorifici - racconta - Poi, certo, arriva anche qualche ragazzo che chiede qualcosa da fumare e gli dico che ha sbagliato posto».
«Abbiamo tolto alcune cose per precauzione ma sono basito - dice Marco Della Rocca, titolare di due punti vendita nella centralissima via del Corso a Roma, che sugli scaffali espone ora solo lecca lecca, bevande e gadget con la foglia di ‘marià - perchè il prodotto è innocuo, non ha assolutamente niente di psicotropo. Il ragazzo che vuole fare un’altra esperienza non viene da noi».
Ad esprime soddisfazione per il verdetto della Cassazione è il ministro dell’Interno, Matteo Salvini: «C’è una sentenza e le sentenze di solito si rispettano», commenta il titolare del Viminale, che già alcune settimane fa aveva emanato una direttiva per una stretta sui cannabis shop e la messa al bando delle infiorescenze della canapa. Esultano anche il ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, e Simone Pillon, senatore della Lega e vicepresidente della Commissione parlamentare infanzia e adolescenza, per il quale «finalmente è stata fatta chiarezza e giustizia su una normativa promossa dal Pd che era lacunosa e volutamente ambigua» perchè «la droga fa male, sempre».
Un coro di esultanza da parte del fronte del no alla cannabis light, dunque, frenato però da chi sostiene che quel verdetto deve essere ancora interpretato.
La sentenza della Cassazione sullo stop alla commercializzazione della cannabis light ha già diviso politici, esperti del settore e cittadini.
Al centro della contesa - e in attesa di leggere le motivazioni - c’è la portata della decisione della Suprema Corte, che ha decretato il divieto alla vendita o alla cessione a qualunque titolo dei prodotti «derivati dalla coltivazione della cannabis», come l’olio, le foglie, le inflorescenze e la resina.
Uno dei motivi di discussione è proprio l’interpretazione del verdetto degli ermellini, secondo cui vendere questi ‘derivatì è reato «salvo che tali prodotti siano privi di efficacia drogante». Per gli esperti il nodo è proprio legato al vuoto normativo lasciato dalla legge sulla canapa del 2016, che riguarda le infiorescenze e il loro ‘uso umanò«. Quest’ultima permetteva la vendita dei derivati della canapa purchè sotto il tasso di Thc (principio attivo) dello 0,6% e fu fatta per supportare, agevolare e promuovere la filiera dalla canapa industriale, per esempio quella tessile, escludendo gli utilizzi ricreativi e medici.
Non era quindi contemplata in nessun modo l’assunzione da parte dell’uomo delle infiorescenze, mai citate in quella legge. Aldilà delle leggi, nel 2018 a pronunciarsi era stato anche il Consiglio Superiore della Sanità, secondo cui la biodisponibilità di Thc anche a basse concentrazioni non è trascurabile: in altre parole, una bocciatura della vendita della sostanza.
Ma le reazioni sono divise. »C’è una sentenza e le sentenze di solito si rispettano«, commenta il ministro Salvini, che già alcune settimane fa aveva emanato una direttiva per una stretta sui cannabis shop e la messa al bando delle infiorescenze della canapa. Ad esprimere soddisfazione sono anche il ministro dell’Istruzione, Marco Bussetti, e Simone Pillon, senatore della Lega e vicepresidente della Commissione parlamentare infanzia e adolescenza, per il quale »finalmente è stata fatta chiarezza e giustizia su una normativa promossa dal Pd che era lacunosa e volutamente ambigua« perchè »la droga fa male, sempre«.
A storcere il naso e a frenare gli entusiasmi sono il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, che avverte: »la censura totale è sbagliata. La questione è molto difficile da giudicare e bisogna avere anche le competenze giuste. Mi è chiaro però che c’è una parte del mondo economico che sta cercando di lavorare nella legalità«. E per i consiglieri comunali M5s di Torino »ogni sentenza va interpretata« e »la politica, ora, deve farsi sentire a tutela dei lavoratori«.
Com’era prevedibile, le preoccupazioni maggiori sono quelle delle associazioni di categoria, commercianti e agricoltori che hanno investito negli ultimi anni sul business della canapa e ora sperano di non soccombere di fronte alla sentenza della Cassazione.
Ad annunciarne gli effetti è lo stesso questore di Macerata, Antonio Pignataro, che ha lanciato una vera e propria crociata contro i grow shop e la cannabis light. Secondo Pignataro, i cannabis shop non chiuderanno per effetto della sentenza, ma »non dovranno vendere infiorescenze, oli, resine, foglie«: in caso contrario integrano gli estremi del reato di detenzione a scopo di spaccio di sostanze stupefacenti. Gli shop potranno continuare a vendere »prodotti senza thc«, il principio attivo della cannabis: biscotti, dolci, magliette. Ma »senza la vendita di infiorescenze ci sarà un minore margine economico«, conclude il questore, e gli shop chiuderanno perchè non ci sarà più convenienza da parte dei titolari.