I bambini alla mensa della scuola non possono mangiare i panini preparati a casa dalla mamma
C’è un gruppo di genitori che, due anni fa a Torino, ha iniziato una battaglia perchè i propri figli potessero portare alla mensa della scuola il «panino da casa». Una protesta contro il costo dei pasti che ha tenuto banco nelle discussioni politiche ed è approdata in Tribunale tra corsi e ricorsi. Era nato anche un «Comitato Caro Mensa» rappresentato dall’avvocato Giorgio Vecchione. Ora la Cassazione ha messo la parola fine alla vicenda, annullando la sentenza della Corte d’Appello di Torino con cui si ordinava a Comune e ministero dell’Istruzione di organizzare un servizio ristorazione per consentire di portare a mensa il pranzo fatto a casa.
Non esiste, scrivono i giudici, un «diritto soggettivo» a mangiare il panino portato da casa «nell’orario della mensa e nei locali scolastici» e la gestione del servizio di refezione è rimesso «all’autonomia organizzativa» delle scuole. I genitori degli alunni, quindi, non possono rivolgersi al giudice per «influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa» che sono affare degli istituti. L’assessora comunale all’istruzione Antonietta Di Martino assicura che supporterà «le famiglie e le scuole nelle prossime delicate fasi organizzative», ma i genitori del gruppo sono in rivolta. «La Cassazione a Sezioni Unite ha deciso: la scuola dell’obbligo gratuita da Costituzione è da buttare nel cesso, d’ora in avanti o paghi la minestra o salti la finestra (sempre che non ti portino via la casa per morosità)», scrivono su Facebook.
In primo grado il tribunale aveva dato ragione all’amministrazione, ma la Corte d’Appello di Torino ha rovesciato il verdetto: i genitori possono scegliere il tipo di pasto, ma non dettare «le modalità pratiche» e organizzative, dove cioè consumarlo, anche perchè ci sono da valutare gli aspetti igienico/sanitari. «L’istituzione scolastica - sottolineano i giudici - non è un luogo dove si esercitano liberamente i diritti individuali degli alunni nè il rapporto con l’utenza è connotato in termini meramente negoziali, ma piuttosto è un luogo dove lo sviluppo della personalità dei singoli alunni e la valorizzazione delle diversità individualità devono realizzarsi nei limiti di compatibilità con gli interessi degli altri alunni e della comunità». E la questione posta «non è comparabile», come sostenuto da alcuni genitori, con la scelta di non avvalersi dell’insegnamento di religione.
«La sentenza dè in linea con la posizione espressa in questi anni dall’Anci che ha sempre ribadito l’importanza della refezione scolastica. La mensa a scuola è un servizio che ha una funzione educativa, ma anche di socializzazione e di uguaglianza nell’ambito di un progetto formativo comune», ha detto la presidente della Commissione Istruzione, Politiche educativa e edilizia scolastica dell’Anci e vicesindaca di Firenze, Cristina Giachi.