La scoperta: nel Covid-19 anche un difetto genetico che causa i casi più gravi
Un grande balzo in avanti per il futuro della terapia della Covid-19: “la scoperta che esiste una base genetica nel 15% dei casi è un primo passo fondamentale”, ha detto all’Ansa Giuseppe Novelli, Laboratorio di Genetica Medica dell’Università di Roma Tor Vergata, all’indomani della pubblicazione, sulla rivista Science, di due articoli che per la prima volta hanno indicato che il 15% dei casi più gravi di Covid-19 è legato a un difetto genetico che impedisce o limita la produzione dell’interferone di tipo I, una delle principali armi con cui il sistema immunitario reagisce ai virus.
“Per la prima volta la Covid-19 ha una base che riusciamo a capire”, ha osservato Novelli, che è fra gli autori del primo articolo, dedicato alla genetica; il secondo articolo riguarda invece l’analisi immunologica. Entrambi gli studi sono coordinati daJean-Laurent Casanova, della Rockefeller University e condotti dal Consorzio Internazionale di Genetica, Covidhge. Per l’Italia, oltre all’Università di Tor Vergata, hanno partecipato l’Istituto San Raffaele di Milano con il gruppo di Alessandro Aiuti, Ospedale Bambino Gesù di Roma, Ospedali di Brescia, Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr).
“La novità - ha proseguito Novelli - è che la scoperta delle basi genetiche permette di stratificare i pazienti in base alle caratteristiche genetiche”, portando anche la mattia da coronavirus fra quelle che possono beneficiare della medicina ‘personalizzata’, ritagliata cioè sulle caratteristiche genetiche dei pazienti. “Adesso sappiamo che coloro che hanno la malattia nelle forme più gravi non sono in grado di produrre l’interferone, completamente o in parte, e adesso è possibile identificare chi è più a rischio fra i ricoverati”.
E’ un primo passo fondamentale e si guarda già al futuro: “quanto è emerso dallo studio va ora suffragato da ulteriori indagini, se ne sta già discutendo nell’ambito del consorzio Covidhge”, ha detto ancora Novelli. “Si tratta di promuovere sperimentazioni per mettere a punto il modo ottimale si somministrare l’interferone ai malati gravi di Covid-19. Abbiamo il vantaggio di avere un farmaco che si conosce da 30 anni, ma bisogna chiarire come somministrarlo, in quali dosi e in quali momenti”, ha concluso. Il passo ulteriore sarà studiare le caratteristiche genetiche degli asintomatici e di chi resiste al virus, ossia che pur essendo esposto al virus non si ammala e non diventa infettivo.