Tamponi covid dai medici di base Verso l'accordo ma con tensioni
Finanziamento di 30 milioni di euro per consentire ai medici di famiglia e ai pediatri di libera scelta di eseguire 2 milioni di tamponi antigenici rapidi. La misura è contenuta nel Decreto Ristori. L’accordo tra sindacati medici e Sisac ((Struttura Interregionale Sanitari Convenzionati) sviluppato sulla base dell’Atto di indirizzo della Conferenza Stato-Regioni non è ancora stato firmato.
L’intesa sarebbe stata raggiunta sulla parte economica che prevede 18 euro al professionista per ogni tampone fatto nel suo studio e 12 euro se il test viene somministrato in una struttura della Asl. Il costo dei tamponi sarà a carico dello Stato e non del paziente.
Ai medici di medicina generale verranno forniti i dispositivi di sicurezza da indossare ogni volta che entrerà in contatto con un caso sospetto di Covid.
Il nodo della discussione riguarda l’obbligatorietà per i medici di eseguire i tamponi. I sindacati infatti hanno chiesto che l’adesione avvenga su base volontaria e il testo di accordo venga modificato. Non tutti i camici bianchi infatti sarebbero disposti a eseguire i tamponi poichè ritengono che l’organizzazione sia complessa e non sicura nè per gli assistiti, nè per gli operatori sanitari nell’ambito delle strutture che hanno a disposizione. In più, non ci sarebbero indicazioni sull’effettiva possibilità di utilizzare spazi messi a disposizione dai dipartimenti di prevenzione.
Non è escluso quindi che alcune tra le sigle sindacali (Federazione dei medici di medicina generale-Fimmg, Sindacato nazionale autonomo dei medici Italiani-Snami, Intesa sindacale e Sindacato medici italiani-Smi) si astengano dal firmare l’accordo finale se non saranno apportati cambiamenti.
Le nuove disposizioni, compreso il trattamento economico, entreranno nell’Accordo collettivo nazionale stralcio (il contratto di lavoro dei medici convenzionati).
Sarebbe invece stata accolta la richiesta che riguarda la strumentazione per la diagnostica che le Regioni distribuiranno ai medici di medicina generale, in seguito ad una spesa di 258 milioni di euro. La formazione e i costi per la manutenzione non dovrebbero essere più in carico ai professionisti ai quali vengono assegnate le attrezzature, come era stato indicato inizialmente. Questa seconda parte dell’accordo è stata prevista sia «per consentire una più efficace presa in carico degli assistiti, che per ridurre la pressione sui presidi ospedalieri e sulle strutture sanitarie e limitare di conseguenza le occasioni di esposizione al rischio di contagio».
Anche se è ormai in dirittura d’arrivo, l’intesa non manca di provocare critiche e polemiche. La Fp Cgil medici fa i conti e e commenta che quella di oggi «non è una trattativa ma la presa d’atto di qualcosa che era già stato concordato». Inoltre: «Due milioni di test da distribuire entro fine anno a 53 mila medici di famiglia su tutto il territorio nazionale significa che ogni singolo professionista farà 1 solo tampone al giorno.
Ci si chiede se valeva per davvero la pena di organizzare tutto questo per un risultato così piccolo», dice il segretario nazionale Andrea Filippi.
Sull’argomento interviene anche il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta: «Al di là della effettiva disponibilità dei tamponi rapidi, diverse difficoltà ostacolano il loro immediato utilizzo negli ambulatori di medici e pediatri di famiglia, spesso strutturalmente inadeguati a garantire percorsi dedicati per sospetti casi COVID. Peraltro è necessario un adeguato training dei professionisti coinvolti nell’esecuzione dei test, perché la probabilità di risultati falsamente negativi al tampone aumenta in mani non esperte.