Come siamo cambiati nella pandemia? Ce lo dice uno studio di FBK (basato sul GPS dei nostri telefonini)
Dati interessanti: un calo del 28% di visite nei negozi, e una permanenza nei punti vendita diminuita del 23%: «con il tempo, cala l’attenzione ai dati dei contagi; ma anche nella riapertura, abbiamo mantenuto un atteggiamento di protezione»
TRENTO. Quale impatto ha avuto sul comportamento umano il primo anno di pandemia? Come sono cambiate le nostre routine, la nostra capacità di rispettare le restrizioni e di rinunciare, almeno in parte, alle attività sociali?
Intorno a queste domande, si è focalizzato lo studio pubblicato sulla rivista “Scientific Reports” dal titolo “Living in a pandemic: changes in mobility routines, social activity and adherence to COVID-19 protective measures”. La ricerca è stata realizzata dalla Fondazione Bruno Kessler di Trento in collaborazione con l’Istituto di scienze e tecnologie dell’informazione del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isti) e con l’azienda Cuebiq Inc di New York.
Il lavoro si è basato sui dati Gps di 837mila cellulari, trattati in maniera completamente anonima, negli Stati Uniti, da gennaio a settembre 2020. E’ emerso che nel periodo dello studio, il numero di visite nei negozi e in altri luoghi di interesse è notevolmente diminuito segnando un – 28% rispetto al periodo pre-pandemico nello Stato di New York e, al tempo stesso, è diminuita la durata della permanenza nei luoghi visitati del 23%.
Dallo studio, è inoltre risultato che le persone hanno mantenuto un comportamento protettivo anche nella fase di riapertura, proseguendo la tendenza a frequentare meno luoghi e soprattutto a passarvi meno tempo.
“Dall’osservazione e disamina dei dati emerge che con il protrarsi della pandemia – dice Lorenzo Lucchini ricercatore della Fondazione Kessler -, le persone abbiano iniziato a prestare meno attenzione ai dati sul numero di casi e di morti provocati dalla pandemia e in qualche modo sia cambiata la loro percezione del rischio. Questo ha modificato il loro comportamento di conseguenza.
Un’altra ipotesi è che ragioni economiche abbiano spinto comunque a riprendere a frequentare più luoghi e a rimanervi più a lungo”.
“Le analisi hanno inoltre mostrato che – interviene Luca Pappalardo ricercatore di Cnr-Isti – mentre le persone hanno in genere ridotto i contatti sociali per diminuire le probabilità di contagio nei luoghi di interesse, le stesse precauzioni non sono state mantenute all’interno delle abitazioni. Fra le mura domestiche poi non si è stati altrettanto attenti a ridurre i contatti sociali con persone non conviventi, e questo nonostante sia risaputo che i contatti in quel tipo di ambiente contribuiscano significativamente alla diffusione dei contagi”.
Articolo di Viviana Lupi, con Lorenzo Lucchini, Unità MobS, dalla rivista di FBK