Sanità / Medicina

Santa Chiara: donna di 99 anni ha subito un intervento al cuore per installare un pacemaker

La signora Virginia è stata operata all’ospedale di Trento e ora, dopo qualche giorno di ricovero, ha potuto tornare a casa. Spiega il dottor Massimiliano Marini: “Abbiamo parlato con la paziente e i familiari e abbiamo deciso di procedere, anche se l’intervento su persone così anziane è raro”
 

TRENTO. Alla soglia dei 100 anni, 99 per la precisione, ha subito un intervento al cuore per installare un pacemaker. La signora Virginia è stata operata nei giorni scorsi all’ospedale Santa Chiara e ora, dopo qualche giorno di ricovero, ha potuto tornare a casa.
 

«Ciò che ci ha profondamente commossi sono stati l'estrema gentilezza, nonché la grande professionalità di tutto il personale sanitario. Perciò vogliamo ringraziare di cuore il dottor Fabrizio Guarracini, il dottor Aristotele Porceddu e il dottor Massimiliano Marini, nonché tutto il personale infermieristico», ha scritto in una lettera a nome di tutti i fratelli la figlia, di Spormaggiore.
 

La donna era stata portata al pronto soccorso dell’ospedale Santa Chiara con un battito cardiaco molto basso. «Era arrivata in quello che noi in gergo chiamiamo blocco totale, con una frequenza cardiaca inferiore a 35 battiti al minuto, però cosciente, capace di intendere e volere, con tutte le fragilità di una persona di 99 anni. Accanto a lei dei figli molto motivati. In maniera molto onesta noi abbiamo detto loro che non ci era mai capitato di sottoporre a un intervento di questo genere una persona così anziana in quanto solitamente i pacemaker si mettono a persone tra i 70 e i 90 anni, c’è qualche record 95-96 ma i centenari sono davvero rarissimi», spiega il dottor Massimiliano Marini, responsabile del laboratorio di elettrofisiologia dell’ospedale Santa Chiara.
 

«Abbiamo parlato a lungo con i familiari - aggiunge - spiegando loro che avremmo potuto fare un intervento del tutto inutile da un certo punto di vista, perché la vita che si spegne lo fa anche tramite il rallentamento della frequenza cardiaca. Loro ci hanno pensato e alla fine, il giorno dopo, hanno deciso per l’impianto».
 

Un intervento che è durato un’ora, in anestesia locale con un blanda sedazione in considerazione dell’età della donna. La signora si è poi svegliata ed è stata trasferita nei posti letto del pronto soccorso dove era stata ricoverata All’indomani ha effettuato i controlli del caso e pochi giorni dopo è stata dimessa con un battito tornato regolare.


«Il pacemaker è una macchina che noi programmiamo per un battito simile a quello fisiologico - spiega il dottor Marini - In questo caso la signora è stata dimessa con un battito programmato di sessanta battiti al minuto, pacemaker dipendente come si dice».
 

Nel reparto di cardiologia di Trento vengono effettuati circa 350 impianti di pacemaker all’anno. A questo numero si devono aggiungere circa 100 impianti defibrillatori, che sono pacemaker più complessi, e poi impianti minori. In totale sono circa 500 gli interventi. Ma quando è necessario inserire questi dispositivi elettronici?
 

«Quando l’impianto elettrico del cuore si spegne - spiega il cardiologo - Questo è un segno classico della senescenza, a volte legato a una cardiopatia, ma in pazienti così anziani ciò avviene perché l’impianto elettrico si logora, come nel caso di una lampadina che si rompe e noi facciamo la sostituzione».
 

Ovviamente anche i professionisti del S. Chiara, quando si sono trovati davanti l’anziana signora, si sono interrogati sull’opportunità di un intervento di questo tipo in un soggetto così in là con gli anni.

«In pazienti così anziani è difficile perché siamo al confine dell’accanimento terapeutico.

In questo caso però la signora era vigile, cosciente, capace di una relazione, non aveva un amministratore di sostegno e decideva per sé. Lei stessa ci ha detto: “Se dobbiamo farlo”. Il timore ovviamente c’era, perché si era di fronte a uno scenario totalmente nuovo, non potevamo sapere le possibile complicanze. La regola aurea è che il paziente deve uscire dall’ospedale almeno come è entrato, se meglio...meglio. In questo caso è uscito meglio ma non potevamo saperlo prima».

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