L'Italia torna a casa È tutti contro tutti

 È finita così, giocando male, perdendo orrendamente e dunque estromessi dal mondiale da una squadra, l'Uruguay, quasi peggio di noi. Dico quasi, perché peggio è davvero impossibile. E qui non si parla solo di gioco. Qui si parla di amor proprio, di vigliaccheria, di scarso senso di attaccamento alla maglia e in molti casi tra i bamboccioni in maglia azzurra visti in campo, anche di stupidità pura. E quella, cari miei, non ci sono soldi né ingaggi che la eliminano: quella resta

di Maurilio Barozzi

 

 

 

NATAL - È finita così, giocando male, perdendo orrendamente e dunque estromessi dal mondiale da una squadra, l'Uruguay, quasi peggio di noi. Dico quasi, perché peggio è davvero impossibile. E qui non si parla solo di gioco. Qui si parla di amor proprio, di vigliaccheria, di scarso senso di attaccamento alla maglia e in molti casi tra i bamboccioni in maglia azzurra visti in campo, anche di stupidità pura. E quella, cari miei, non ci sono soldi né ingaggi che la eliminano: quella resta.


Cominciare con Balotelli sarebbe come picchiare un bambino seduto sulla tazza del cesso. Però questi sono i presunti campioni e pertanto nemmeno attendo che si alzi i pantaloni, meno: inguardabile, indolente, inutile, insignificante, inetto, indifendibile. Basta? E mi limito solo agli aggettivi pubblicabili e col suffisso «in». Altrimenti si starebbe delle ore. Perché un conto è non essere in giornata, che può capitare (mai ai campioni, guarda caso), ma provare a fare il meglio, correre, aiutare i compagni, insomma dare un senso ad una partita decisiva. Niente. Quello pascolava in mezzo al campo alla velocità di un bradipo ingessato e si è fatto notare soltanto per un fallo idiota che gli è valso il cartellino giallo e - comunque fosse andata - la squalifica.


Detto questo, detto tutto. Tanto che anche il ct Prandelli (sempre troppo pacioso con quella sua faccia farisaicamente politically correct. A proposito: ha senso rinnovare i contratti a suon di milioni prima di un mondiale?) ha dovuto toglierlo dal campo alla fine del primo tempo.


Per restare nel reparto dei bambini sulla tazza da menare, nella schiera ci sta da dio anche Marchisio. A parte l'espulsione, probabilmente eccessiva, la sua partita era stata indecorosa. Palloni persi, nessun recupero, una giornata al piccolo trotto terminata con un'inutile entrata a gamba tesa (uhe', amico, gli avrebbe detto Platini, non siamo mica all'oratorio) che ha costretto gli azzurri in dieci per il resto della gara, quasi tutto il secondo tempo.


E così il timore è diventato certezza. Si sa dai tempi del vecchio Brera che gli uruguagi sono una squadra rognosa e scaltra. Una squadra che difende le sconfitte di misura perché conta sugli ultimi minuti di gioco. Quando ti morde all'improvviso, come un crotalo perfidamente nascosto sotto la sabbia. Stavolta i morsi sono stati due: uno vero, quello che Suarez ha rifilato sulla spalla di Chiellini (ben gli sta, avrebbe dovuto sistemarlo lui ben prima!), e poi quello di Godin, di testa su calcio d'angolo a nove minuti dalla fine.


L'Uruguay festeggia in campo e sulle strade di Natal. L'Italia, tronfia e vile, abbassa la testa e saluta. A poco sono valse le parole che nella conferenza stampa della vigilia, il novello Massimo D'Azeglio Pirlo aveva dispensato: serve l'orgoglio italiano, l'attaccamento alla bandiera e tutte quelle balle lì. Poi si è messo a cincischiare in mezzo al campo con leziosi (e per i più sbagliati) colpi di tacco e controlli di suola che ai miei tempi se ne facevi due il mister Segantini ti toglieva dal campo e buonanotte, avevi tutta la settimana per ripensare alle tue gigionate. Nel disastro generale di una squadra senza idee (dunque testa), senza gambe, senza cuore, hanno provato a chiamarsi fuori Buffon, forse Darmian e Verratti.

 

Soprattutto Verratti. E infatti, come da scuola, quando i celesti lo hanno capito, lo hanno picchiato come fabbri. Alla fine riuscendo (Cavani, nemmeno un terzino hanno scomodato!) a farlo uscire malconcio. A quel punto per l'Italia si sono spente tutte quelle già flebili  lampadine. E dopo il gol di Godin, l'Uruguay ha avuto la certezza che avrebbe vinto e passato il turno, accedendo agli ottavi di finale dopo un esordio, contro la Costa Rica, a dir poco osceno (1-3). Ma non conta nulla: hanno vinto e sono passati. Una lezione di cinismo che l'Italia una volta impartiva e che invece adesso manco più controlla. Con quella specie di tikitaka (praticato fuori moda, Spagna docet) fatto di passaggini e tocchetti a pochi metri dalla propria area di rigore, visto che l'altra con il pallone nemmeno la avvicinano.

 

Allora gli azzurri meritavano il rispetto di chi si difende umile per tutta la partita e poi (a volte) vince in contropiede. Adesso si difendono con la supponenza di chi pensa di avere i piedi buoni (e evito di fare i nomi, ma ci siamo capiti) anziché i ferri da stiro che mamma gli ha appioppato sotto le caviglie. Ai tempi a questo tale di cui parlo gli avrebbero proibito di passare la metà campo e di fare più di due tocchi con la palla. Al secondo spazzare e borsa. Oggi no, la tiene, tocchetta e fa pure il fico, avanzando palla al piede. Chissà con che coraggio, poi.

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