Marco Pantani, niente camorra dietro lo stop
Archiviata la denuncia per i fatti di Campiglio
Anche a Forlì viene archiviata una delle inchieste nate due anni fa dalle sollecitazioni della madre di Marco Pantani, Tonina Belletti. Il gip Monica Galassi, accogliendo la richiesta della procura, ha archiviato il procedimento aperto dal procuratore Sergio Sottani nell'ipotesi che dietro l'esclusione dal Giro d'Italia del 1999, che segnò l'inizio del tramonto del campione, ci sia stato un complotto ordito dalla criminalità organizzata, che contro di lui aveva scommesso. A fine giugno un altro giudice, a Rimini, aveva messo la parola fine, anche in questo caso su richiesta della Procura, all'altra inchiesta bis, quella sulla morte.
La famiglia non è stata colta di sorpresa. «Entro settembre presenteremo una denuncia alla Direzione distrettuale antimafia competente», ha spiegato l'avvocato Antonio De Rensis che tutela la famiglia di Pantani. «Rispetto le decisione della magistratura, ma ho degli strumenti e lotterò fino alla fine. E la parola "fine" bisogna dirla quando è davvero finita. Ad oggi, stando al codice di procedura, questa vicenda non è finita». Perché, anche sull'altra archiviazione, quella dell'inchiesta per la morte di Pantani a Rimini, pende «un corposo ricorso per Cassazione».
A Forlì era stato riaperto il caso, archiviato a Trento, su un ipotetico complotto per alterare le analisi del sangue di Pantani a Madonna di Campiglio (quell'ematocrito al 53% che segnò lo stop perché oltre il limite consentito) per poi escluderlo dal Giro d'Italia che stava dominando. Dietro ci sarebbe stato il giro degli scommettitori: Pantani andava eliminato perché era favorito nelle puntate. Nell'indagine sono state sentite varie persone, tra cui la mamma del «Pirata», giornalisti e medici. Anche Renato Vallanzasca, che aveva raccontato di essere stato avvicinato nel 1999 in carcere da un camorrista che gli aveva detto di non scommettere sul Pirata perché quel Giro «non lo avrebbe finito».
Anche questa persona è stata sentita dagli investigatori. Agli atti dell'inchiesta ci sono pure intercettazioni. Ma non è bastato. Gli inquirenti forlivesi avevano concluso che anche se poteva essere credibile che ci fossero state condotte minacciose, gli elementi acquisiti dall'inchiesta non erano idonei ad identificare autori di eventuali reati ipotizzati, e cioè associazione a delinquere, frode sportiva, minacce ed estorsione.
De Rensis, opponendosi all'archiviazione, aveva chiesto che gli atti andassero a Napoli, visto il possibile coinvolgimento della camorra. Parte degli atti dell'inchiesta sono già andati. Ma l'avvocato, alla domanda se non trovi che la procura campana, sulla base dei documenti di cui è già in possesso, possa aprire d'autonomia un fascicolo, risponde: «Preferisco sollecitare». E non rivela a quale Dda presenterà la nuova denuncia.