L'opposto Luca Vettori artista ribelle del volley
In campo Luca Vettori - i capelli corti ma in composto disordine, barbetta lunga e aria blasé - sembra uscito da un verso di Rimbaud: che ci faccio qui? Poi, quando comincia la partita, la risposta la trovi in un attimo. Ma pensare di vederlo schiacciare, battere e murare con un occhio al campo e uno alle statistiche è – e probabilmente sarà sempre – un’illusione. Troppo banale, troppo scontato. Sarebbe come pensare di aver visto Gigi Meroni giocare a calcio senza avventurarsi in tanto rischiosi quanto magnifici dribbling. Vettori, come Meroni, fa parte di una ristretta cerchia di atleti-artisti: li devi prendere così, con le loro virtù e pure coi vezzi.
Luca Vettori, opposto della Trentino Diatec, è per vocazione un artista. Per passione, attitudine atletica e mestiere pallavolista. Punto. O fa venti punti o ne fa sei. Non sono contemplate le mezze misure, le partite in difesa di una prestazione che navighi in acque sicure per approdare alla sufficienza.
Artista, Luca si sentiva già ai tempi del liceo classico, a Parma. Allora ascoltava gli Iron Maiden e dipingeva ispirato dalle tavolozze dai colori violenti di Kandinski. Guardava i film di Tarkowskij e si appuntava alcune note da pubblicare poi su ‘Eureka’, il giornalino della scuola. Cercava ispirazioni. Con quell’aria svagata, già allora poteva dare l’idea dell’anticonformista con poca attitudine alle regole e alla disciplina ferrea. Luca precisa: «In realtà con il passare del tempo ho digerito regole e disciplina comprendendo che non solo devono essere rispettate ma anche che sono funzionali a un progetto condiviso e una comune programmazione. Però appena cominciato, intorno ai quattordici, quindici anni le cose erano differenti e spesso mi lasciavo andare a qualche atteggiamento adolescenziale».
Appena arrivato a Piacenza, il primo contatto con la città, il palazzetto, una squadra importante fu d’impatto critico. «Mi ricordo che avevo 15 anni - racconta Luca -. Dopo qualche allenamento ci imposero di indossare la maglietta da allenamento della società. Mi sembrava una cosa inaccettabile, una specie di grembiule delle elementari o alla catena di montaggio. Per qualche allenamento ignorai la direttiva e mi presentai ancora con la mia maglietta. Poi mi sono reso conto che la mia era una battaglia inutile e mi sono adeguato alla divisa. Avevo capito cosa significa far parte di una squadra».
In effetti, per un giocatore di pallavolo professionista, l’essere anarchico può rappresentare un problema, in un mondo fatto di regole rigide, di metodo, di costanza e impegno atletico e mentale.
«Per quanto mi riguarda, penso che la linea tra l’essere anarchico e l’essere snob sia piuttosto sottile in un mondo come quello dello sport professionistico che è in qualche modo assimilabile a quello dello spettacolo. Oggi per me essere anticonformista significa staccarmi dallo stereotipo del giocatore-divo».
Chi calca da tempo i palazzetti dello sport – settore volley – aveva avuto occasione di vedere all’opera un giovane Luca Vettori in finale scudetto 2013 contro la Trento dei fenomeni. In gara due, a Piacenza, il suo ingresso in campo al posto di Fox Fei nel terzo set sull’1-8 aveva tarpato le ali della rimonta ai trentini con una serie di colpi micidiali e una battuta al fulmicotone. Aveva 22 anni ed era guidato dall’energia dell’incoscienza. Estri oscuri che quando si degnano di comparire generano mostri. E l’anno dopo contribuì a estromettere i trentini dalla finale di Coppa Italia, vincendola poi con la maglia rossa di Piacenza. Ormai la sua strada era chiara: Luca a 23 anni era uno dei pallavolisti più promettenti d’Italia.
Lui si dedicava allo sport con abnegazione senza tuttavia smettere di coltivare il suo amore per il postmoderno, la critica sociale e il viaggio immaginifico attraverso le letture di autori impegnati e impegnativi. «Una professoressa del liceo mi aveva avvicinato al cinema neorealista e agli scrittori contemporanei. Attraverso Italo Calvino, leggendo le sue ‘Lezioni americane’ mi sono imbattuto in George Perec e Julio Cortazar. Poi ho conosciuto Jorge Luis Borges. Mi ero anche iscritto all’Università, al Dams, ma dopo un po’ ho abbandonato», ricorda Luca. Però, nonostante l’addio agli studi, la sua vena aritstica non si esaurì. Continuava a dipingere, a scrivere, a raccontare con la grammatica bizzarra degli avanguardisti. Si costruì un sito web dove postare le sue impressioni sotto forma di immagine. «Il sito si chiamava ‘Tavole di abitare’ - dice -. Ci postavo le fotografie della mia scrivania ricolma di appunti, libri, utensili vari, miei e anche di amici che mi inviavano i loro scatti. Era un modo per ritrovare tutti quegli oggetti e ripensarli attraverso parole e racconti». Curiosamente, tra le fotografie ritornava spesso il nomadismo e la bicicletta: infatti, nel 2014, lascia Piacenza per approdare a Modena e fare il grande salto pallavolistico. In quella stagione - guidato da Angelo Lorenzetti - vince subito la Coppa Italia (3-0 proprio a Trento) ma in primavera deve scontrarsi con l’esplosione di Simone Giannelli e cedere in finale ai futuri compagni.
Nella stagione 2015-2016 con la maglia gialla di Modena vince sia la Coppa Italia che il Campionato. In Coppa Italia è proprio Vettori protagonista indiscusso. Artista ispirato, con 20 punti schianta Trento. E poi si ripete, a maggio, in semifinale scudetto: in gara 4, al PalaTrento è autore di 24 punti e per Trento il campionato termina lì, mentre Modena vola in finale, dove batterà Perugia.
Il suo animo zingaro, lo scorso anno, nell’estate 2017, lo ha portato ad approdare a Trento a caccia di nuovi stimoli e nuovi successi. «Abbiamo una buona squadra, credo che potremmo fare grandi cose. E se dovesse arrivare lo scudetto sarebbe proprio un altro bel capitolo della mia carriera e della mia vita. Poi, una volta smesso con la pallavolo, vedremo. Mi piacerebbe fare l’agricoltore, magari produrre vino. Alcuni amici trentini mi portano a vedere queste zone che trovo bellissime. Ma mi piacciono molto anche delle zone sul confine tra la Liguria e l’Emilia, belle e poco inflazionate dal turismo».
Nell’attesa dell’ispirazione bucolica, già da un po’ di anni si era messo a collaborare con un compagno di squadra, Matteo Piano, per creare una web radio dal nome spiritoso ‘Brodo di becchi’. Luca sorride. «È nata anche quella come forma di ribellione. In quel caso volevo affrancarmi dall’idea sempre più dominante che l’immagine sia tutto nella nostra società. Così con Matteo abbiamo pensato ad una radio che desse spazio alla parola, ai concetti che in essa sono racchiusi e a come essi possono essere declinati. Oltre che alla musica, ovviamente». Musica che nel frattempo ha scavato nell’animo dell’artista-pallavolista portandolo ad avvicinarsi ai Pink Floyd. Testi e musica ipnotici, perfettamente in linea con le parole dei racconti di Borges e le sperimentazioni di Perec. E in linea col suo sguardo perso in un pallone da volley con il quale - ancora - ha instaurato un rapporto artistico: o è amore oppure è odio. Nessuna mezza misura.