Pirlo: l'addio del Maestro senza rimpianti
«Non volevo arrivasse quel momento in cui la gente si guarda in tribuna dopo un tuo lancio fuori misura o un tuo tiro sbagliato e pensa: Pirlo è vecchio, è finito, non regge più. Non l’avrei sopportato». Andrea Pirlo, il genio della Nazionale che nel 2006 vinse i Mondiali, si prepara così a dire addio alla carriera calcistica sulle pagine di Vanity Fair.
Oltre al Mondiale 2006 con l’Italia Pirlo può vantare in bacheca 2 Champions League, 6 scudetti, un Mondiale per Club, 2 Supercoppe Europee, 3 Supercoppe Italiane e 2 Coppe Italia. Una vita nel segno del talento innato e del duro allenamento, senza mai avere un piano B. «Non l’ho mai avuto. Ho cominciato a giocare con mio fratello, con le palline di spugna. Ho sempre pensato che giocare a calcio fosse il mio destino». Una carriera che verrà celebrata nella «Notte del Maestro», il 21 maggio a San Siro per l’ultima partita del campione con gli amici e colleghi di una vita.
Nella «sua squadra» prenderebbe «Nesta in difesa: con Ale ho diviso per anni la camera nei ritiri con la nazionale. Ronaldo il Fenomeno davanti: ci ho giocato all’Inter. Buffon in porta. Io in mezzo, ma mi porto Gattuso a guardarmi le spalle». L’allenatore ideale? «Ne ho avuti di straordinari, da Mazzone che mi cambiò ruolo spostandomi da trequartista a playmaker davanti alla difesa, ad Ancelotti, un altro fratello. Ma Conte li supera tutti. Ho avuto la fortuna di incontrarlo al momento giusto, dopo l’addio al Milan nel 2011. Conte mi ha insegnato molto. Ma tutti mi hanno lasciato qualcosa. L’inglese Hodgson all’Inter mi chiamava Pirla: non lo faceva apposta, era un problema di lingua, non conosceva bene l’italiano».
Oggi Pirlo non ha rimpianti: «Ho davvero vinto tutto quello che c’era da vincere, se mi volto indietro penso di essere stato fortunato. Il Pallone d’Oro? No, non è mai stato un pensiero fisso. E sono contento anche del mio percorso professionale. C’è stato più di un momento in cui potevo andare all’estero, ma alla fine è andata così e mi sta bene».
Chiuso il capitolo calcistico, lo sguardo è già rivolto ai piani per il futuro: «Ho tanto tempo per pensarci, vedremo, ma non c’è fretta. Per ora mi godo i miei figli. Mi piace viaggiare, non sono per niente abitudinario. A giugno andrò al Mondiale in Russia per i miei sponsor. Seguo le attività di famiglia (il gruppo siderurgico Elg Steel, una società di costruzioni e immobili, l’azienda vinicola, ndr). E poi gioco molto a golf: ho 13 di handicap, non sono ancora ai livelli di Shevchenko o di Van Basten, loro sono davvero forti. Allenare? Prima devo prendere il patentino, ma sì, potrebbe essere un’idea».