Ma le Olimpiadi si faranno? Tokyo trema, ma gli sperti sperano che sarà tutto risolto
I cinque cerchi ai tempi del Covid-19. Nei giorni del virus che viene dalla Cina e diventa paura globale, anche le Olimpiadi affrontano la psicosi collettiva. «Se ragioniamo all’oggi, Tokyo 2020 si svolgerà regolarmente», ribadisce, in un’intervista all’ANSA, Fabio Pigozzi, l’italiano alla guida della federazione mondiale dei medici sportivi.
A 150 giorni dal via, il 24 luglio, il Cio ripete che tutto procede come previsto. Ma il Giappone affronta le critiche per la gestione dei contagi e l’arrivo in Italia e in Europa del contagio allarga timori e speculazioni. «Tutto procede ma tra tre mesi» si capirà se annullare o no, il rinvio non è possibile, ha detto Dick Pound, canadese del Cio e grande ‘nemicò degli attuali vertici, riaprendo dubbi che a Losanna non hanno. D’altra parte, l’Oms parla di picco superato in Cina; l’assenza di casi nell’emisfero australe lascia sperare nell’affievolirsi dell’epidemia con la stagione estiva; e la situazione in Europa sembra al momento contenuta.
Professor Pigozzi,il Cio parla di Tokyo sicura: con quali misure? «Le contromisure contro le malattie infettive costituiscono una parte importante dei piani di Tokyo 2020, ha già chiarito il Cio. In sintesi: faranno tutto ciò che è possibile e anche di più.L’ultima volta che un’Olimpiade è stata cancellata è stato per la seconda guerra mondiale. Se ragioniamo all’oggi, Tokyo si svolgerà regolarmente. Che la risposta del Cio in questo caso sia positiva in termini di organizzazione è corretto e prevedibile. Diverso il discorso su quanto può accadere da qui al 24 luglio: entriamo nel campo delle ipotesi. Preferisco mantenere il discorso sul piano strettamente scientifico.
L’attuale casistica non fa pensare alla cancellazione dei Giochi, i problemi semmai potrebbero essere per i tornei di qualificazione olimpica che in alcuni casi potrebbero essere compromessi o svolti solo in parte dagli atleti».
Quali sono i motivi di ottimismo del Cio? «Ottimismo e pessimismo sono punti di partenza che non considero adeguati al caso. Parlo da medico e da ricercatore: al momento contiamo 12 decessi in Italia, tutte persone anziane e già gravemente malate. Credo quindi che si debba ragionare in termini di equilibrio. Gli ospedali di tutta Italia hanno risposto in modo eccellente per spirito di servizio e per attenzione generale al coronavirus; allo stesso tempo credo si debba mantenere la calma così come indica l’OMS. Quanto alla tendenza delle influenze a scemare con la buona stagione, non abbiamo per ore evidenze scientifiche sulla termolabilità di questo virus».
E quale è il principale motivo di preoccupazione? «Parliamo di un virus, non è ancora disponibile un vaccino, non ci sono cure specifiche. Questo è l’aspetto che può creare maggiore apprensione».
Pound ha detto ‘tre mesi per capire se i Giochi si fannò: è verosimile un’ipotesi di ‘isolamentò per gli atleti? «Attualmente non mi risulta alcun piano di »quarantena olimpica«, mi tengo distante dalle illazioni. Se ragioniamo sull’oggi, le Olimpiadi si svolgeranno regolarmente».
Cosa ci dice la curva epidemiologica in prospettiva di luglio? «Abbiamo dati frammentati: alla crescita dei casi italiani va aggiunta la decrescita di quelli cinesi e l’annuncio di positività in altri Paesi, penso soprattutto a Francia e Svizzera. Serve ancora un pò di tempo per una curva epidemiologica con una concreta riscontrabilità».
Come medici sportivi avete segnali di preoccupazione dagli atleti? «Gli atleti non sono una comunità sorda ai richiami della quotidianità. Leggono e ascoltano notizie allarmanti. Si preoccupano e cercano di capire se le trasferte rappresentano un rischio, se le manifestazioni nazionali e internazionali a cui sono chiamati a partecipare nelle prossime settimane sono in discussione. Ma non ho sentito nessun atleta pronto a rinunciare».
Dal punto di vista medico, c’è una soglia limite? «Se si pensa a un numero specifico di casi positivi o peggio ancora di decessi, non esiste una soglia limite. Le aggiungo una considerazione specifica, oggi si parla di oltre 27mila casi risolti. Quindi di persone guarite. Forse è questo il punto dal quale dobbiamo partire».