Sharapova, addio al tennis "Quanti sacrifici... ad esempio tanta pizza che non ho mangiato"
Maria «Masha» Sharapova ha detto basta. La tennista russa, nata 32 anni fa nella steppa siberiana, ha dato l’annuncio del suo ritiro dalle competizioni come si addice ad una star dello sport, al suo fisico da modella ed alla sua passione per la moda ed il glamour: con una lettera pubblicata da Vanity Fair e Vogue.
Vincitrice di cinque tornei del grande Slam (l’ultimo il Roland Garros del 2014), è entrata nella storia per essere stata la prima numero uno del ranking mondiale di nazionalità russa (nel 2005) e per aver vinto Wimbledon a soli 17 anni. Ma anche per la squalifica causa doping, dopo la positività al meldonium durante gli Australian Open del 2016, che le costò uno stop di due anni, poi ridotti dal Tas a 15 mesi.
«Come ti lasci alle spalle l’unica vita che tu abbia mai conosciuto? Come ti allontani dai campi sui quali ti sei allenata da quando eri una bambina - si chiede - il gioco che ami, che ti ha portato lacrime e gioie indicibili, lo sport in cui hai trovato una famiglia, insieme ai fan che ti hanno seguito per oltre 28 anni?».
A lungo la tennista più pagata del circuito, soprattutto grazie a sponsor milionari, secondo Forbes dal 2005 al 2011 una delle 100 celebrità più potenti del pianeta, Sharapova ha scoperto prestissimo la sua strada. A sei anni conobbe Martina Navratilova, che intuì le sue potenzialità e le consigliò di trasferirsi con il padre negli Stati Uniti, cosa che fece nel 1995, per frequentare l’Accademia di Nick Bollettieri.
«Ho attraversato il mondo per arrivare in Florida con mio padre - ricorda oggi - All’epoca tutto mi sembrava gigantesco. L’aereo, l’aeroporto, l’ampia distesa americana: tutto era enorme, così come il sacrificio dei miei genitori».
All’inizio «le ragazze dall’altra parte della rete erano sempre più vecchie, più alte e più forti». La vittoria a Wimbledon «mi sembrava un buon punto di partenza. Ero una ingenua diciassettenne che collezionava francobolli, ed ho impiegato del tempo a capire la portata di ciò che avevo fatto».
E ancora, i sacrifici («una fetta di pizza in più? Meglio di no»), i dubbi («avrò fatto abbastanza per affrontare il prossimo avversario»), la sofferenza fisica («nel tempo i miei tendini si sono sfilacciati come una corda»).
Lo scorso agosto, agli US Open, il primo segnale che il momento di lasciare la racchetta era vicino. Quel giorno per il dolore ad una spalla «già entrare in campo sembrava una vittoria».
Il tennis, conclude Sharapova - oggi scivolata al n.373 del mondo - avviandosi verso il futuro, «mi ha dato una vita. Mi mancherà ogni giorno». È «stato anche la mia montagna. Il mio percorso cosparso di valli e deviazioni, ma i panorami dalla sua cima erano incredibili».