Malgioglio: «Perché solo l’emergenza ci fa cercare il nostro Dio, la nostra etica?»
Astutillo Malgioglio ha idee chiare sui valori, e non solo su quelli degli ingaggi, ma non sputa sulle maglie degli altri. Il 9 marzo di 34 anni fa, lo fece sulla sua di portiere della Lazio, con un gesto clamoroso contro le offese dei tifosi e le peggiori contraddizioni di un mondo che ha amato e mai accettato. Oggi che, nella sua Piacenza, l’emergenza coronavirus gli impedisce di assistere come sempre i disabili e passa il tempo anche guardando in tv qualche vecchia partita, considera «ingiudicabili» Messi e i suoi compagni, che hanno detto no alla riduzione di ingaggio proposto dal club.
«Io non mi sento di fare valutazioni etiche su questi calciatori, non posso dare giudizi su chi col sociale non ha nulla a che vedere. Ho sempre pensato agli altri, e situazioni del genere sono ingiudicabili», dice al telefono l’ex portiere di Brescia, Roma e Lazio, confessando la sua resa di fronte alla “bolla” di una parte del calcio professionistico, anche in era di coronavirus. «Ringrazio Dio che mi ha escluso dal calcio e mi ha dato la libertà, ho avuto la gioia di incontrare altre persone che hanno bisogno», dice Malgioglio che continua a lavorare con la sua onlus, Era ‘77. «Più che a quel no dei calciatori del Barcellona, anche da ex calciatore il mio pensiero è ai ragazzi bloccati a casa: alcuni non ce l’hanno fatta. Noi possiamo solo sentirli al telefono per star loro vicini».
Il calcio, precisa Malgioglio, «in realtà continua ad affascinarmi. È stata la mia passione da quando lo giocavo all’oratorio, lo seguo in tv - ma solo in chiaro - quando posso, e mi diverte». Però ai calciatori “ingiudicabili”, Malgioglio lancia un messaggio: «Perché solo adesso ci facciamo queste domande? Perché solo l’emergenza ci fa cercare le nostre croci, il nostro Dio, la nostra etica? - l’interrogativo retorico - Lo sport è un barlume di speranza per tanti giovani. Chi ha potere nel calcio, e non dico solo i dirigenti, dovrebbe interrogarsi sugli errori, se li ha commessi. Ora ci prodighiamo, poi tutto tornerà normale: si muore di coronavirus ma anche di solitudine. E purtroppo a soffrire e morire, finita l’emergenza, sono sempre gli stessi».