Si è spento a 79 anni Mario Corso Il mancino della Grande Inter
) - Addio ad una delle leggende dell’Inter. È morto a quasi 79 anni Mario Corso, campione che ha legato il proprio nome a quello dei nerazzurri, nei quali ha militato dal 1957 al 1973 prima di trasferirsi al Genoa, dove ha concluso la carriera nel 1975. Con la maglia dell’Inter ha collezionato 509 presenze, segnando 94 reti e vincendo quattro campionati nazionali, due Coppe dei Campioni e due Coppe Intercontinentali.
Dell’Inter è stato anche allenatore nella stagione 1985-1986, subentrando all’esonerato Ilario Castagner e conducendo la squadra al sesto posto finale. Meno esaltante l’esperienza con la Nazionale, con la quale ha collezionato 23 presenze e 4 reti, senza mai prendere parte ad una rassegna continentale o mondiale.
Candidato per tre volte al Pallone d’oro, si è classificato settimo nell’edizione 1964. Riconoscibile dai calzettoni arrotolati, in omaggio a Omar Sivori, e noto per la grande abilità nel battere i calci di punizione, Corso era uno specialista del tiro a foglia morta: calciando con il piede sinistro imprimeva al pallone un particolare effetto che provocava un improvviso mutamento di traiettoria.
Nato a Verona il 25 agosto 1941, inizia a giocare a calcio nell’Azzurra Verona, società del rione di San Giovanni in Valle, per poi trasferirsi all’Audace San Michele, quindi viene scoperto dall’Inter, dove si trasferisce il 20 giugno 1958 insieme a Mario Da Pozzo e a Claudio Guglielmoni. Prezzo totale dell’operazione, nove milioni di lire; a lui un contratto da settantamila lire al mese. In nerazzurro fece il suo debutto a 16 anni e 322 giorni, in una partita di Coppa Italia contro il Como vinta per 3-0 dall’Inter, segnando il gol del 2-0 e diventando il più giovane marcatore della storia interista. Il 23 novembre dello stesso anno esordì in Serie A, nell’incontro vinto per 5-1 contro la Sampdoria. In massima serie realizza la sua prima rete a 17 anni, 3 mesi e 5 giorni il 30 novembre 1958 nel successo per 3-0 contro il Bologna.
Successivamente sarà una delle colonne della Grande Inter, risultando spesso determinante per le sorti della propria squadra, nonostante uno scarso feeling col tecnico Helenio Herrera, che, per incompatibilità di carattere, ne chiedeva ogni anno la cessione scontrandosi col tassativo rifiuto del presidente Angelo Moratti. Tra il 1963 e il 1971 vinse quattro scudetti (1963, 1965, 1966 e 1971), due Coppe Campioni e due Coppe Intercontinentali (nel 1964 e 1965).
La sua ultima apparizione con l’Inter è datata 17 giugno 1973, quando scese in campo in un Inter-Juventus di Coppa Italia (finito 1-1): in quindici stagioni a Milano ha collezionato 502 presenze totali e segnato 94 reti. Passato al Genoa, in coincidenza col ritorno sulla panchina nerazzurra di Herrera, vi militò fino al 1975, anno del suo ritiro a seguito di un grave incidente in campo, con la rottura della tibia; dopo l’operazione e la convalescenza, rimossa la placca metallica, la tibia (ricomposta in modo imperfetto) si spezzò nuovamente durante un allenamento proprio mentre Corso segnava l’ultimo gol della sua carriera. In maglia azzurra, Corso non riuscì a eguagliare i risultati ottenuti con le squadre di club. Fece il suo esordio in nazionale nel 1961, in occasione dell’amichevole persa contro l’Inghilterra per 2-3.
Il 15 ottobre dello stesso anno segnò i primi gol in azzurro, realizzando una doppietta in una gara contro Israele (valida per le qualificazioni al campionato del mondo 1962) vinta per 2-4 e guadagnandosi il soprannome di ‘Piede sinistro di Diò, che lo avrebbe accompagnato durante tutta la carriera. Escluso dalla rosa dei convocati per la deludente spedizione in Cile, il 10 maggio mise a segno quello che sarebbe stato il suo ultimo gol in azzurro, andando in rete nell’incontro vinto 3-1 sulla Svizzera.
Nel 1967 la Fifa lo inserì nella formazione del Resto del Mondo, per un’amichevole contro la Spagna in onore del portiere Ricardo Zamora: la selezione internazionale vinse per 3-0. Ritiratosi dai campi di gioco, si iscrive al corso per allenatori di Coverciano ottenendo il patentino nel 1977. La prima esperienza in panchina è con la Primavera del Napoli (1978-1979), che conduce alla vittoria dello scudetto di categoria. In seguito guida altre due squadre del Sud: Lecce e Catanzaro. Con i salentini ottiene la salvezza nel campionato di Serie B 1982-1983, mentre dalla dirigenza dei calabresi viene esonerato dopo 10 partite del campionato di Serie B 1983-1984.
Tornato all’Inter, allena il settore giovanile, ma nel novembre 1985 il presidente Ernesto Pellegrini gli affida la prima squadra, per rimpiazzare Ilario Castagner: esordisce il 24 novembre, con un pareggio per 1-1 contro la Juventus di Trapattoni. Il 6 aprile 1986 vince il derby di ritorno per 1-0, in quella che è la prima stracittadina di Silvio Berlusconi al comando della società rossonera. L’Inter chiuderà il campionato 1985-1986 al sesto posto, davanti ai cugini, qualificandosi per la Coppa Uefa.
Nella stagione successiva non sarà confermato sulla panchina dei nerazzurri (il suo posto venne preso proprio dal «Trap») e rimarrà inattivo per un anno. Nell’annata 1987-1988 guida il Mantova, portandolo a vincere il campionato di Serie C2: confermato anche l’anno seguente, porta i lombardi al sesto posto in C1. Nel 1989-1990 viene chiamato dal Barletta, che riesce a condurre alla salvezza nel campionato cadetto. Nella stagione 1991-1992 subentra a Fascetti alla guida del Verona in coppia con Nils Liedholm: è questo l’ultimo atto della sua carriera da tecnico, in quanto diviene poi osservatore per l’Inter. Il Genoa lo ha inserito nella sua Hall of Fame.