Francia / La storia

Paralimpiadi, la trentina Francesca Bosio: «Siamo pronte a dare il tutto per tutto»

È la capitana della nazionale di sitting volley. Nata a Trento il 4 gennaio 1994 con la pallavolo ha sempre avuto un legame a filo doppio. La menomazione alla mano sinistra con cui è nata non l'ha mai frenata: a otto anni i primi approcci con questo sport e poi, fin da subito, la nazionale

di Sara Ravanelli

TRENTO. «Siamo a Parigi per giocarcela, non per partecipare. Ma senza pressioni. Alle Paralimpiadi arrivano solo otto squadre in tutto il mondo e noi ci siamo. Non ci accontentiamo, ma siamo fiere di quanto fatto per essere qui». Francesca Bosio, trentina doc, è il capitano della nazionale italiana di sitting volley. Nata a Trento il 4 gennaio 1994 da mamma Monica Dalcorso, brillante giocatrice prima e poi allenatrice di volley, e papà Gianpietro, anche lui ex giocatore e poi a lungo presidente dell'Argentario Calisio a Trento, con la pallavolo ha sempre avuto un legame a filo doppio. La menomazione alla mano sinistra con cui è nata non l'ha mai frenata: a otto anni i primi approcci con questo sport e poi, fin da subito, la nazionale.
Mamma e papà commentano le sue prestazioni, da esperti della disciplina?
«Sono molto corretti, stanno a guardare e poi commentano, magari alla fine. Devo dire che tra i due la più tagliente nei commenti è mamma».
L'esordio di Francesca con la maglia azzurra risale al 2016. Le avventure con le compagne di squadra sono tante e sono gruppo molto affiatato.
«Giochiamo insieme ormai dal 2017 e ne abbiamo vissute tante insieme; di sicuro ci conosciamo benissimo e questo in uno sport di squadra aiuta, soprattutto nei momenti di pressione. Conosci a memoria pregi e difetti delle compagne, sai come aiutarle e quali sono i loro limiti. Abbiamo calcolato che nel 2024 passeremo insieme oltre un terzo dell'anno» scherza Francesca alla vigilia dell'esordio paralimpico «dobbiamo per forza andare d'accordo! E questa avventura ci aiuterà a crescere ulteriormente».
Dopo Tokyo, la prima Paralimpiade della schiacciatrice trentina, Parigi rappresenta una grande opportunità, sia a livello umano che sportivo.
«Le Paralimpiadi del 2021 arrivavano col Covid ancora fortemente presente, non ci siamo godute il villaggio, né tanto meno il clima che un evento simile dovrebbe regalare. Spero che a Parigi sarà molto diverso. E spero di riuscire a ritagliarmi almeno una mezza giornata di svago, visto che non ci sono mai stata e vorrei vedere la Tour Eiffel».
Sul fronte del risultato sportivo non sarà semplice emulare Egonu e compagne.
«Partiamo senza aspettative perché abbiamo un girone davvero tosto, con le padrone di casa della Francia ma soprattutto con Cina e Stati Uniti, oro e argento olimpico in carica. La formula è semplice: le prime due qualificate dei due gironi si sfideranno nelle semifinali. Già esserci è stata una grande impresa, siamo tra le otto squadre più forti al mondo e ne siamo orgogliose. Non molleremo senza lottare, certo che sarà dura. Scendiamo in campo il 30 agosto, l'1 e il 3 settembre. Siamo già molto concentrate, prima di partire per Parigi siamo state insieme alcuni giorni in ritiro a Milano per affinare la preparazione».
Il pass paralimpico per il team allenato dal brasiliano Amauri Ribeiro (ex schiacciatore, oro olimpico a Barcellona nel 1992) è arrivato grazie alla vittoria degli Europei di Caorle.
«Eravamo le favorite e giocavamo in casa. Vincere è stato bellissimo, ci abbiamo messo un po' a realizzare cosa significava quella vittoria».
A proposito di vittorie, quella della nazionale femminile di volley alle Olimpiadi ha dato tanta forza a Francesca Bosio e alle compagne di squadra.
«Soprattutto perché nello staff c'è anche la nostra dottoressa, Emanuela Longa. Sono tanto felice per lei, se lo merita, è davvero brava. È con noi da tantissimi anni e ora le ragazze di Velasco ce la hanno "rubata" per queste Olimpiadi; un bellissimo riconoscimento per la sua professionalità. Ma tutto il nostro staff è speciale».
Francesca passa moltissimo tempo con la nazionale di sitting volley, anche perché dal 2020 non ha più una formazione di club fissa.
«L'ultima in cui ho militato è stato il Marzola, fino al 2020. Non è facile costruire una squadra nelle discipline paralimpiche -spiega -né tanto meno dei veri e propri campionati».
Insomma, Francesca conduce la vita piena di impegno e sacrifici di una sportiva al 100% ma senza averne i privilegi. Perché di sitting volley non si vive, nemmeno se sei il capitano della nazionale che si trova sul tetto d'Europa.
«Mi sono laureata nel 2019 in Economia e da qualche anno lavoro in un'agenzia di Trento che si occupa di digital marketing. Vivo a Levico Terme col mio ragazzo ma viaggio tantissimo. Con la nazionale di sitting volley ci troviamo di media ogni due settimane per qualche ritiro in giro per l'Italia. Per fortuna da gennaio sono stati introdotti i permessi sportivi perché altrimenti conciliare queste trasferte anche lunghe con il lavoro era impossibile. Ora posso avere 90 giorni di permesso specifico senza dovermi giocare tutte le ferie per allenarmi. Anche perché l'altra mia grande passione è viaggiare, e ogni tanto tutti abbiamo bisogno di staccare».
Una vita non certo semplice, ma che regala a Francesca tante soddisfazioni.
«Noi siamo atlete a tutti gli effetti, ma viviamo ancora maggiori difficoltà. Più di natura logistica, probabilmente. Comunque sono una che non si arrende mai, mi rialzo sempre e cerco il meglio con quello che ho». Così sarà a Parigi. Francesca è scaramantica e non vuole parla di medaglie o risultati. «Posso solo garantire che daremo il tutto per tutto».

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