Gabriel Maule, direttore sportivo dal Trentino alla Puglia: «nel calcio, il sacrificio conta più del talento»
Ex delle giovanili del Trento, ora dirige il Gravina, a mille chilometri dalla sua Rovereto: «è metafora della vita. E ai ragazzi dico: non ci sono scorciatoie»
ROVERETO. Era il 2006 quando, a poco più di trent’anni, diede inizio alla sua ormai quasi ventennale carriera da direttore sportivo, assumendo l’incarico di responsabile del settore giovanile del Trento calcio. Laureato in Economia, una professione all’epoca avviata nell’ambito del marketing e delle pubbliche relazioni, scelse improvvisamente di cambiare rotta per inseguire il suo sogno e provare a dargli forma. E così, con dieci stagioni consecutive in serie D all’attivo e dopo diverse esperienze collezionate nelle più importanti squadre del Nord – Este, Valdagno, Correggese e Sona - Gabriel Maule, 50 anni, dirige ora per la quarta stagione l’Fbc Gravina, in Puglia.
A mille chilometri da casa, il tecnico sportivo roveretano parla di una terra e di una squadra che rappresentano per molti aspetti un ritorno ai tratti dell’identità trentina, a partire dai simboli dei sodalizi, entrambi gialloblu.
Direttore, nelle occasioni pubbliche lei sottolinea spesso una sorta di continuità tra il Trentino e la Puglia.
Innanzitutto i colori e il rapace rappresentato nel simbolo dell’Fbc Gravina sono molto simili a quelli dell’Ac Trento, la squadra che per prima ha rapito il mio cuore e dove ha avuto avvio il mio percorso professionale.
Trento e Gravina sono due città poste agli antipodi del nostro Paese, ma accomunate da ricchissimi aspetti storici e culturali, e soprattutto dal rigore etico che la gente di queste terre esprime nel quotidiano. La serietà dei rapporti, la lealtà, l’orgoglio, il sacrificio e la passione per il lavoro sono valori che mi riportano al Trentino, alla mia famiglia d’origine e alle mie radici più profonde.
Talento, merito, fortuna. Quanto contano nel calcio?
Il merito è la condizione per la quale siamo valutati nel mondo del calcio e nello sport in generale, ma in modo estremo. Troppo spesso i risultati o i mancati risultati fanno sì che tu appaia più o meno bravo di quello che realmente sei. È un mondo fatto di eccessi, dove con molta facilità si esprimono sentenze positive o negative su un calciatore, un allenatore o un direttore sportivo. Penso che per affrontare questa dimensione si debba sviluppare quello che noi trentini portiamo già nel nostro dna, ossia la resilienza, il saper incassare i colpi e il sapersi rialzare. Credo poco nella fortuna e penso piuttosto che abnegazione e sacrificio debbano superare il talento, nello sport come nella vita.
Che qualità deve possedere un direttore sportivo?
Prima di ogni altra cosa devi saper operare delle scelte rispetto agli uomini e agli atleti, affidandoti anche al tuo sesto senso oltre che alle tue competenze tecniche e professionali. Devi poi saper dare certezze tutti i giorni, anche se delle volte io stesso non le ho. Il ruolo prevede che tu sia sempre determinato, forte, incrollabile, perché è vero che lavori con un gioco, ma stai gestendo risorse umane. Devi saper stemperare gli animi dopo le sconfitte, fare autocritica, difendere gli allenatori e i giocatori dagli attacchi. E poi servono tenacia, serietà e onestà, valori che ho appreso da mio padre, un uomo nato in una famiglia povera che con sacrificio e dedizione al lavoro si è costruito da solo. Penso che nel calcio attuale l’espressione massima di questi valori trovi posto nei settori giovanili. Lo sport resta dunque un’importante dimensione educativa. Viviamo un’epoca nella quale da adulti, genitori, insegnanti o allenatori, non è semplice essere un punto di riferimento per i ragazzi, risultare autorevoli e credibili.
Il calcio, metafora della vita, senz’altro aiuta perché impone regole, obiettivi da raggiungere e lavoro di squadra, dove la performance individuale è al servizio del risultato collettivo. Il singolo impara a compensare la mancata prestazione del compagno, perché magari domani lo stesso può succedere a te. Come in una classe, o nella vita, dove è necessario imparare a stare con gli altri, condividere obiettivi e impegno, l’emozione e l’esaltazione della vittoria o la delusione e l’abbattimento della sconfitta. Si affrontano insieme le difficoltà e si va oltre, con l’umiltà degli ultimi e il coraggio dei primi, per dimostrare a se stessi che si può vincere.
Il Gravina da questo punto di vista è una piccola Camelot, la prima società cooperativa sportiva nata in Italia 11 anni fa. Qui l’onestà e la correttezza della mia gente mi accompagnano ogni giorno, è una parte di Trentino che porto sempre con me.
Cosa direbbe oggi a un giovane che sogna il mondo del calcio?
Direi che le scorciatoie non pagano mai. Se ti viene attribuito un merito che non hai davvero guadagnato, se non dimostri sul campo reali strumenti e competenze, inevitabilmente poi arretri. È giusto ed è bello sognare, ma più alta è l’ambizione, maggiori devono essere il tempo e l’impegno da dedicare alla realizzazione dei grandi sogni.