E' reato usare Youtube come arma di ricatto
È reato usare «Youtube» come arma di ricatto per «coartare» la volontà di qualcun altro tenendolo sotto scacco con la minaccia di pubblicare in rete un video imbarazzante, a maggior ragione se la vittima del ricatto è una donna. La Cassazione ha infatti stabilito che questo comportamento configura il reato di «violenza privata» al quale si accompagna anche la condanna per violazione della privacy nel caso in cui, dalle minacce, si passi poi alla effettiva divulgazione del video su Youtube.
In particolare, la Cassazione ha «rigettato» il ricorso di Andrea C., un trentenne calabrese che ha protestato contro la condanna per violenza privata e violazione della privacy inflittagli il 18 marzo 2004 dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria. L’imputato era stato condannato per aver tenuto «sotto scacco» Silvia S. costringendola «ad avere contatti informatici con lui sotto continue minacce di pubblicare in rete un video che la ritraeva in pose oscene» ed anche per il reato di «trattamento illecito dei dati personali» per aver poi pubblicato il video su Youtube «con conseguente lesione dei diritto alla riservatezza dell’immagine».
A carico del trentenne c’erano non solo la denuncia di Silvia S. ma anche le e-mail che lui le aveva scritto “avvertendola” che in una «cerchia ristretta» come quella di Reggio Calabria, della pubblicazione di un video del genere «ne sparleranno e ti macchierà per sempre». In Cassazione, il difensore di Andrea C. ha sostenuto che non aveva costretto la ragazza a tenere contatti telematici con lui dato che la vittima «lungi dal subire condizionamenti, lo fece addirittura venire allo scoperto contattandolo in rete su indicazione della polizia postale a cui lo aveva precedentemente denunciato». Ad avviso dei magistrati questa tesi difensiva è «infondata» perchè costituisce «atteggiamento minaccioso aver costretto la ragazza ad intrattenere rapporti telematici prospettandole la possibilità di divulgare il video in cui compariva con la gonna sollevata approfittando della disponibilità del video». In questo modo si era reso colpevole di «violenza privata» perché aveva «coartato la capacità di autodeterminazione della ragazza tenendola sotto scacco».
Infondato è stato giudicato dalla Cassazione anche il motivo di ricorso contro la condanna per violazione della privacy. Ad avviso del difensore di Andrea C. dalla pubblicazione del video su Youtube non era derivato «nocumento» alla ragazza dato che «l’inserimento del video su Youtube non comportava comunque l’ accesso da parte di persone terze perché l’imputato aveva omesso, al momento della pubblicazione sul sito, di inserire criteri di ricerca e la riprova sta nel fatto che egli, ben consapevole della impossibilità per gli estranei di visionare il video, aveva minacciato la divulgazione su Facebook». Rigettando questo punto di vista i supremi giudici rilevano che correttamente la Corte d’Appello «dall’avvenuto inserimento nel circuito Youtube del video ritraente la ragazza, ha desunto l’esistenza del nocumento consistente nella lesione dei diritto alla riservatezza dell’immagine: trattasi di tipico accertamento in fatto, in questa sede insindacabile» anche perché l’obiezione difensiva «si risolve ancora una volta in una critica di tipo fattuale laddove tende a sostenere l’inaccessibilità al file da parte degli utenti, circostanza peraltro indimostrata ed anzi esclusa dai giudici di merito».