Tutti i pericoli dei social network

Il 35% perde un'opportunità di lavoro per colpa del proprio profilo

di Giada Da Roit

Come possiamo difendere i nostri figli dai pericoli del web? Come possiamo educarli ad un uso responsabile degli strumenti tecnologici a loro disposizione? Sono una miriade le domande che attanagliano i genitori dei «nativi digitali», una generazione che, come ha detto Marc Prensky, è nata tra computer, mp3 e cellulari. Il cambiamento generazionale ha messo in crisi il modello educativo, e allora come può un «tardivo digitale» controllare ed educare i propri figli?

Ne ha parlato al Collegio Arcivescovile di Trento Mauro Berti, responsabile dell'Ufficio indagini pedofilia e pedopornografia della Polizia postale e delle comunicazioni. «Quando le forze dell'ordine arrivano, il fattaccio è già successo ed è impossibile vigilare tutti gli spazi che la rete ci propone», dice Berti. All'inizio dell'incontro si è partiti con la definizione di identità digitale, ovvero quello che la rete dice di una persona. Per i nostri ragazzi essa è un tutt'uno con quella reale: non esiste la separazione tra online e offline.

Ed ecco la prima trappola. La rete ha una memoria infinita e tutto ciò che pubblichiamo vi rimane per sempre. «Non posso più cancellare quei dati e addirittura a volte essi diventano di proprietà di altri». Ebbene sì, quando entriamo in un social network, come Facebook, accettiamo delle regole di servizio tra le quali una che afferma che tutto quello che viene scritto nel social diventa di proprietà di quel social. Ne consegue che tutte le nostre informazioni sono controllate. Inoltre, quando si parla di dati in Internet non ci si riferisce a dati sensibili o identificativi come quelli della vita reale: «Quello che mi piace, una foto, il linguaggio che utilizzo mi identificano molto di più».

Dunque i profili possono compromettere la reputazione di una persona. Una notizia relativa all'11 novembre dell'anno scorso ne dà un'ulteriore e preoccupante conferma: secondo un'indagine Adecco, il 35 % dei reclutatori in Italia ha dichiarato di aver escluso un potenziale candidato in seguito alla pubblicazione di contenuti o foto improprie. Ma qualcuno potrebbe sostenere di essere al sicuro da eventuali figuracce per aver oscurato il proprio profilo a chi non risulta amico.

Berti avverte: «Si riesce lo stesso a vedere i contenuti di profili chiusi in un particolare modo che molti conoscono e i reclutatori spesso utilizzano un sistema più semplice chiedendo la password». Insomma la privacy nella rete non esiste. I nostri ragazzi sono consapevoli di tutto ciò? Dall'enorme quantità di contenuti compromettenti messi in circolo sul web non si direbbe. L'opportunità di «nascondersi» dietro un profilo genera comportamenti che spesso nella vita reale non si terrebbero. Come ad esempio il fenomeno del cyberbullismo, che è spaventosamente in crescita e spesso risulta invisibile. Come spiegato da Berti, il cyberbullismo non implica necessariamente ingiurie ed offese di vario genere, ma si può sviluppare senza proferire una parola escludendo una persona da un gruppo. Sebbene il fenomeno abbia causato diverse giovani vittime, come il caso del ragazzo «dai pantaloni rosa», non esiste per ora il reato di cyberbullismo.

Quali sono allora gli elementi distintivi di questa generazione digitale e come affrontarli? In una fase storica fatta di tweet , messaggi, screenshot, notifiche e foto, la difficoltà di relazionarsi con la gente è la caratteristica principale. «Bisogna preparare i ragazzi ad affrontare la quotidianità. Bisogna ritornare a sviluppare i rapporti umani», dice Berti.

comments powered by Disqus