I «lupi di Wall Street» sostituiti da algoritmi

Non ci sono solo gli operai, i fattorini o i commessi ad avere paura di vedersi sostituiti da una macchina, anche ai piani alti delle società finanziarie ormai sono più apprezzati gli algoritmi. La tendenza è stata rimarcata da Marty Chavez, vice direttore finanziario di Goldman Sachs, che ha rivelato che dei 600 operatori finanziari nel settore del private equity degli inizi 2000 sono rimasti ormai solo 2, sostituiti da algoritmi e 200 ingegneri informatici.

«La tendenza - ha spiegato Chavez durante un simposio organizzato dall’università di Harvard dal titolo ‘Data, dollars and Algorithms’ riportato dalla rivista del Mit Technology Review - sta invadendo tutti i settori dell’economia, dagli scambi sulle valute alle banche d’investimento. Ormai quattro traders possono essere rimpiazzati da un ingegnere informatico, e un terzo dello staff di Goldman, circa 9mila persone, ha questo profilo».

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La transizione, hanno spiegato gli esperti di Coalition, un centro studi specializzato nel settore, sta portando grossi risparmi nelle casse delle società, che in media pagano un operatore 500mila dollari l’anno, e dedicano a questi profili il 75% dei costi per il personale. Ormai il 45% degli scambi viene effettuato elettronicamente.

«Tutti i settori che hanno beni con prezzi che fluttuano sono interessati - spiega Amrit Shahani, capo della ricerca di Coalition -, comprese le valute e i futures. Per fare affari gli algoritmi sono progettati per imitare il più strettamente possibile il comportamento che avrebbe un trader umano».

Anche il nuovo software di gestione delle carte di credito di Goldman, ha rivelato Chavez, sviluppato dalla stessa compagnia, funziona senza alcun intervento umano, ed è stato sviluppato da una sorta di start up interna proprio negli spazi lasciati liberi dai 600 trader nella sede di New York. Il tema degli effetti dell’automazione sull’occupazione è molto dibattuto negli ultimi anni, a partire da un famoso titolo del Daily Mail di due anni fa che affermava che i robot stanno per «rubare 15 milioni di posti di lavoro in Gran Bretagna». Una analisi della Oxford Martin School del 2013, ad esempio, ha calcolato che negli Usa il 43% dei lavori è ad alto rischio. Secondo il Centre for European Economic Research (ZEW) invece la cifra è molto inferiore, circa il 9%, e l’analisi suggerisce che non saranno interi lavori ad essere rimpiazzati ma alcune mansioni specifiche, mentre sarà sempre necessario un ruolo di coordinamento «umano».

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