Dieci anni fa nasceva il Bitcoin
Una moneta elettronica generata dagli utenti, che elimina gli intermediari bancari e li sostituisce con dei server. Compie dieci anni il bitcoin, il cui manifesto programmatico fu pubblicato dal suo inventore Satoshi Nakamoto, di cui non si è mai scoperta l’identità, il 31 ottobre 2008.
Solo pochi giorni prima, un segno dei tempi, era fallita Lehman Brothers, una delle banche d’investimento più grosse degli Usa.
Questi dieci anni non sono stati rose e fiori per la moneta elettronica: dalla promessa di un nuovo ordine economico è passata sotto i colpi delle speculazioni e degli attacchi hacker. Senza contare che la sua produzione energivora rischia di influire sui cambiamenti climatici.
Considerato la bibbia delle criptovalute, il documento di Nakamoto comparso online 10 anni fa si chiamava «Bitcoin»: un sistema di moneta elettronica peer-to-peer’. Il 3 gennaio 2009 furono «minati», cioè prodotti i primi 50 bitcoin; il 5 ottobre dello stesso anno 1 bitcoin valeva 1.309 dollari. Allo stato attuale la quotazione oscilla tra 6.000 e 7.000 dollari, dopo un periodo di montagne russe. Proprio un anno fa, infatti, sotto la spinta di un’ondata speculativa, il valore ha sfiorato i 20mila dollari, per poi dimezzarsi in un mese.
Per il finanziere americano George Soros, il bitcoin è una bolla, ma non crollerà, mentre il co-fondatore di Microsoft Bill Gates ha bocciato il bitcoin e le numerose valute elettroniche nate in scia come Monero, anche per l’anonimato che consentono ai proprietari. Non è un caso, infatti, che vengono richieste come riscatto negli attacchi hacker. E violazioni informatiche hanno messo ko nel 2014 Mt.Gox, la principale piattaforma di scambio della moneta.
Nel frattempo sono nati numerosi virus informatici che si attaccano ai nostri dispositivi e producono bitcoin a nostra insaputa. Un lavorio energetico che potrebbe causare un aumento di temperatura globale di 2 gradi in 15 anni.
Il 22 maggio 2010 c’è stato il primo acquisto: due pizze con 10mila bitcoin. Oggi la moneta è accettata come strumento di pagamento da moltissime aziende come Expedia, Save the Children, Virgin, Starbucks, solo per citarne alcune. Nel 2015 il bitcoin ha conquistato la copertina dell’Economist, e diverse Banche centrali ancora lo osservano da vicino. Ma intanto è diventato illegale in Cina, e Google, Facebook e Twitter hanno vietato le pubblicità che hanno per oggetto le criptovalute.
«A dieci anni da quella visionaria intuizione, la tecnologia che la sottende, la blockchain, è destinata a modificare radicalmente l’intero settore dei servizi», osserva Edoardo Fusco Femiano di eToro, piattaforma social di investimenti. Il sistema per generale criptovalute, noto anche come catena dei blocchi, è infatti una sorta di libro mastro che tiene nota e condivide tutte le transazioni. Una specie di database distribuito, applicabile non solo alla finanza, ma anche al tracciamento dei settori più disparati, dai farmaci al cibo.
Anche l’Italia è interessata a questa tecnologia: poche settimane fa ha aderito alla Blockchain Partnership Initiative europea, e nella manovra in discussione potrebbe essere finanziato un fondo per «interventi in nuove tecnologie».