Militare rifiuta di andare a messa: non è reato
Il militare può legittimamente rifiutarsi di eseguire un ordine che lo obbligherebbe a presenziare a un rito di culto, senza che sussistano specifiche ragioni di servizio. È quanto si evince da una recente sentenza del tribunale militare di Verona, chiamato a giudicare il caso di un sergente al quale un superiore gerarchico aveva impartito l’ordine di «essere presente alla cerimonia religiosa del Precetto pasquale 2014».
Ciò in ottemperanza a una disposizione interna al reparto che stabilisce la presenza alla cerimonia religiosa di tutti i militari che siano in servizio e non addetti a incarichi specifici.
Il sergente ha opposto un rifiuto, affermando la sua estraneità alla religione cattolica e contestando la legittimità dell’ordine. In sostanza ha replicato che non poteva essere obbligato ad andare a messa.
Ma per questo si è ritrovato sul banco degli imputati con l’accusa di disobbedienza aggravata.
Davanti al giudice dell’udienza preliminare, Enrico Della Ratta Rinaldi, il pm ha confermato la richiesta di rinvio a giudizio, mentre per la difesa l’avvocato Carlo Isidoro Colombo ha chiesto il non luogo a procedere.
La sentenza ha accolto quest’ultima richiesta, riconoscendo, dunque, le ragioni del sergente.
«Il caso - si legge nella sentenza - richiede di verificare se, effettivamente, la libertà religiosa dell’imputato, intesa quale interesse costituzionalmente tutelato, sia stata coinvolta e, in caso affermativo, quali siano i reciproci limiti della libertà religiosa, così come costituzionalmente garantita, e della potestà gerarchica in ambito militare».
Il giudice analizza poi alcuni riferimenti normativi e giurisprudenziali, anche per precisare la distinzione fra la presenza a riti religiosi per ragioni di servizio (per esempio i «picchetti» d’onore ai funerali o ai matrimoni di militari). Si richiama anche la risposta fornita dal ministro della difesa a un’interrogazione presentata alla Camera nell’aprile 2011: nella richiesta di chiarimenti si paventava il fatto che i militari venissero sistematicamente obbligati, collettivamente, a partecipare a funzioni religiose cattoliche, il ministro ha risposto rassicurando l’organo legislativo sul fatto che la partecipazione a funzioni religiose avviene sempre e solo su base volontaria.
«Il ministro - commenta il giudice - non ha certo sostenuto la tesi secondo cui la detta partecipazione rientrasse nei doveri di servizio sol perché disciplinata con i crismi formali delle attività di servizio o perché organizzata in modo da realizzare la partecipazione alla funzione di interi reparti».
La sentenza sottolinea, quindi, che «sulla base dell’analisi del materiale probatorio esistente in atti, non è dato reperire alcuna esigenza ricollegata alla partecipazione dell’imputato alla messa del Precetto pasquale che vada oltre la partecipazione a tale funzione in sé e per sé considerata».
In conclusione, si osserva che «l’aderenza ai principi costituzionali e la necessità di interpretare la norma nel senso che realizzi nel modo più autentico il bene giuridico tutelato concorrono nel far ritenere un eventuale ordine avente come contenuto esclusivo la partecipazione ad un atto di culto come un ordine non semplicemente illegittimo ma non attinente al servizio e alla disciplina militare».
Da queste e altre considerazioni, la decisione per il non luogo a procedere, perché il fatto non sussiste.
In altre parole, al militare in servizio non si può semplicemente ordinare di presenziare a un culto religioso ma tale ordine deve avere un preciso riscontro nell’incaricospecifico che nella cirscostanza viene assegnato all’interessato.