Tank e soldati turchi in Siria Dura reazione dei curdi
L’alba non è ancora sorta quando la Turchia lancia l’offensiva che, per la prima volta dall’inizio della guerra, piazza i suoi carri armati in Siria e promette di cambiare gli equilibri nella regione. In meno di 24 ore, l’operazione «Scudo dell’Eufrate» infligge un duro colpo all’Isis, strappando al Califfato la cittadina strategica di Jarablus vicino al confine come confermato in serata da Erdogan, e frena l’avanzata dei curdi del Pyd, che nelle scorse settimane avevano tolto ai jihadisti la località di Manbij.
Un intervento militare massiccio, con la copertura aerea e di intelligence della Coalizione internazionale, lanciato proprio mentre il vicepresidente Usa, Joe Biden, era in volo per Ankara.
Una mossa strategica per mettere al sicuro il confine dalle «organizzazioni terroristiche», dice il presidente Recep Tayyip Erdogan, che ancora una volta mette sullo stesso piano Isis e curdi e parla di legittima «autodifesa».
Ma l’offensiva turca trova una dura condanna da parte di Damasco, che la definisce una «violazione della sovranità», e pure la «preoccupazione» del ritrovato alleato russo.
La reazione più forte è però quella dei curdi, che minacciano: «La Turchia è nel pantano siriano. Sarà sconfitta come l’Isis».
Alle 4:30 del mattino, l’artiglieria di Ankara dà il via a un’operazione preparata da una decina di giorni e ‘annunciatà dalla presenza di diversi gruppi ribelli dell’Esercito siriano libero (Esl) dentro i suoi confini. Con quasi 300 colpi sparati e 81 obiettivi colpiti, l’esercito apre la strada allo sconfinamento delle forze speciali, impegnate in una «missione intrusiva» per compiere «azioni mirate» contro i jihadisti, e poi di almeno 20 tank, oltre a una ventina di altri blindati.
Dal corridoio aperto dalle bombe di Ankara passano circa 5mila ribelli, appartenenti a vari gruppi anti-Assad. Con la copertura aerea degli F-16 turchi e della Coalizione, i miliziani dell’Esl si fanno strada rapidamente lungo i pochi chilometri che li separano da Jarablus. In meno di 12 ore, cadono nelle loro mani tutti i piccoli villaggi sulla strada.
Al momento dell’ingresso a Jarablus, località strategica sul fiume Eufrate e ultima grande finestra dell’Isis sul confine turco, la maggior parte degli uomini del Califfato si sono già dati alla fuga verso sud-ovest, dove ancora regge la roccaforte di al Bab. Il bilancio dell’operazione resta ancora da chiarire: una sola vittima tra i ribelli e nessuna tra i militari turchi, dicono ad Ankara, mentre sarebbero almeno 46 i jihadisti uccisi.
Fonti curde parlano inoltre di 29 civili morti durante i bombardamenti.
Evocata per mesi dalla Turchia, l’operazione di oggi potrebbe respingere definitivamente l’Isis lontano dalla frontiera, riducendo i rischi di attacchi con colpi di mortaio - frequenti nei mesi scorsi - e quelli di attentati al confine, come avvenuto a Gaziantep sabato scorso, quando sono morte 54 persone. Un’offensiva con cui Ankara frena anche l’avanzata dei curdi.
Che adesso, dopo mesi di guerra sul campo all’Isis, vedono sfumare il sogno di controllare l’intera fascia di territorio al confine turco-siriano e devono fare i conti anche con la decisa frenata di Washington. Già sotto pressione per la richiesta di estradizione di Fethullah Gulen per il fallito golpe, rinnovata nei colloqui di oggi, Biden benedice la ‘linea rossà stabilita da Ankara: «Lo abbiamo detto chiaramente dopo l’operazione di Manbij. Se non torneranno a est del fiume Eufrate, non avranno più il supporto degli Stati Uniti».