Per la sepoltura della piccola Marisol si aspetta che guariscano mamma e papà
È la più piccola vittima del terremoto Marisol, 18 mesi, uccisa dalle pietre che cadevano sul suo lettino della casa delle vacanze, a Pescara del Tronto.
Nella sua bara, bianca come quella di Giulia, l’altra bambina che tutti gli italiani hanno imparato a conoscere, ha avuto il funerale del vescovo, con il capo dello Stato, le autorità, i fiori. Ma a differenza delle altre 34 vittime, non sarà tumulata subito. Il funerale solenne svoltosi nella palestra di Ascoli Piceno non è stato l’ultimo addio.
Marisol aspetta la carezza della mamma, Martina Turco, una giovane abruzzese scampata al terremoto dell’Aquila, e del papà, Massimiliano Piermarini.
La donna è ancora ricoverata in prognosi riservata nella Medicina sub-intensiva dell’ospedale di Ancona, per le gravi ferite da schiacciamento che ha riportato.
Il marito, ferito più lieve in cura nell’ospedale di Ascoli, oggi era presente al rito. Ma con Martina ha deciso l’ultimo saluto alla loro bambina è una cosa che non si può fare se non insieme. Dunque bisogna aspettare che la donna si riprenda.
In questi giorni a vegliare la piccola salma nell’obitorio dell’ospedale ‘Mazzonì sono stati i ragazzi della Piazzarola, sestiere della Quintana di Ascoli, e non l’hanno mai abbandonata.
«Quando la mamma e il papà saranno in grado, organizzeremo per Marisol l’addio presso la nostra splendida chiesa di Sant’Angelo Magno», spiega il capo sestiere della Piazzarola Amedeo Lanciotti.
Così, quando il funerale è terminato, e i pompieri hanno cominciato a portare via le bare per caricarle sui carri funebri, i ragazzi del sestiere hanno coperto la cassa con la bandiera dell’Aquila e i gigli rossi, se la sono caricata in spalla e sono tornati all’obitorio a piedi, fra due ali di persone: un applauso ha salutato Marisol.
Molti hanno ripensato alle parole che Massimo Piermarini, il nonno, ha detto ai primi soccorritori: «Non volevano farmi passare perchè era tutto pericolante, ma io ho detto che non me ne importava niente, che dovevo andare a cercarli: purtroppo per la bambina non c’è stato niente da fare».