Arrestati deputati e giornalisti Proteste contro la Turchia
Alta tensione in Turchia dopo l’ennesima iniziativa giudiziaria ai danni dell’opposizone: nel mirino giornalisti e politici oppositori del regime di Erdogan.
Dopo l’arresto lunedì dei giornalisti del quotidiano di opposizione laica Cumhuriyet, seguito ieri notte da quello di una decina di deputati curdi, arriva anche dalla diplomazia italiana un monito rivolto alle autorità di Ankara sul rispetto dei principi democratici.
Questa notte è stato fermato dalle forze dell’ordine Selahattin Demirtas, il leader del partito della sinistra laica e libertaria, il filo-curdo Hdp.
Con lui la polizia ha arrestato altri 10 deputati dell’Hdp.
Demirtas, poco da è stato condotto al tribunale di Diyarbakir, principale città curda nel sud-est della Turchia, dopo essere stato fermato con accuse di «terrorismo».
Il giudice dovrà decidere se convalidare gli arresti.
I deputati curdi sono stati fermati dopo l’entrata in vigore della legge che ha rimosso l’immunità parlamentare, per essersi rifiutati di presentarsi spontaneamente davanti ai giudici.
Il gruppo di monitoraggio Turkey Blocks denuncia che mentre erain corso questa operazione di polizia contro rappresentanti eletti del popolo, l’accesso ai principali social media è stato bloccato in Turchia. Facebook, Twitter e Youtube risultano inaccessibili dall’1.20 ora locale, si legge sul sito del gruppo.
Restrizioni sono state imposte anche ai servizi di messaggistica di WhatsApp e Instagram, per la prima volta a livello nazionale negli ultimi anni.
Secondo Turkey Blocks, l’oscuramento è un’operazione di Stato ed è legato all’arresto deglio 11 parlamentari.
Il ministro degli esteri Paolo Gentiloni commenta per ora con un semplice tweet: «Preoccupato per l’arresto stanotte di Demirtas e altri deputati Hdp in Turchia. L’Italia chiede il rispetto dei diritti dell’opposizione parlamentare».
Più esplicito Arturo Scotto, capogruppo dei deputati di Sinistra italiana: «Apprendiamo con preoccupazione - scrive in una nota - le notizie che arrivano dalla Turchia. La catena di arresti di parlamentari e dirigenti dell’Hdp, tra cui il leader Demirtas, sono il segno di un ulteriore stretta autoritaria del regime di Erdogan.
Chiediamo all’Italia e alla comunità internazionale di richiamare la Turchia, paese che fa parte della Nato, alle proprie responsabilità, al rispetto delle libertà civili e politiche.
l nostro gruppo parlamentare, gemellato con i deputati e le deputate dell’Hdp non smetterà di tacere e di raccontare al mondo cosa sta accadendo in queste ore a pochi passi dall’Europa».
Durissimo Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista - Sinistra europea: «Stanotte in Turchia sono stati arrestati i principali dirigenti dell’Hdp e un gran numero di deputati del Partito democratico dei popoli. La repressione del governo di Erdogan contro il popolo curdo non ha limiti e procede di pari passo con l’instaurazione di un vero e proprio regime fascista e totalitario. L’Italia e l’Europa devono intervenire: Erdogan va fermato e il fatto che la Turchia faccia parte della Nato dice solo che accozzaglia di sinceri democratici albergano nell’alleanza atlantica.
«Il Partito della rifondazione comunista - aggiunge - è impegnato a costruire mobilitazioni unitarie in tutte le città contro il governo Turco, per la liberazione dei compagni e delle compagne dell’Hdp, per la liberazione di Ocalan. Il governo Renzi ritiri immediatamente l’ambasciatore italiano e rompa le relazioni commerciali con il governo turco che sta costruendo un regime fascista».
Ma Ankara si difende affermando che gli arresti la scorsa notte con accuse di «terrorismo» sono avvenuti nel rispetto dello stato di diritto, come ha detto il ministro, Bekir Bozdag, fornendo la prima reazione del governo: «La stessa giustizia che si applica a tutti i cittadini si applica anche ai parlamentari».
Gli arresti sono stati resi possibili dall’abolizione a maggio dell’immunità per i deputati sotto inchiesta.
Frattanto si aggrava il bilancio dell’autobomba esplosa stamani nei pressi di un edificio della polizia a Diyarbakir, principale città curda nel sud-est della Turchia, a poche ore dagli arresti dei deputati.
Secondo l’agenzia statale Anadolu, ci sono almeno otto morti - 2 poliziotti, 5 civili e un sospetto attentatore - e un centinaio feriti.
Il bilancio potrebbe tuttavia essere ancora provvisorio, visto che il ministro della Giustizia, Bozdag, ha parlato di più vittime, sia poliziotti che civili. Le autorità ritengono che l’attacco sia opera del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan (il cui leader è Abdullah Öcalan, incarcerato dal 199), formazione illegale in Turchia, dotata anche di una organizzazione paramilitare (terrorista secondo Ankare, gli Usa, la Ue e l’Iran), con l’obiettivo di creare uno stato indipendente nella regione storico-linguistica del Kurdistan, a cavallo tra Turchia, Iraq, Iran e Siria.
In diverse città tedesche vi sono state la scorsa notte manifestazioni spontanee di curdi contro gli arresti di deputati del partito Hdp in Turchia.
A Colonia, secondo informazioni della polizia, si sono radunate tra le 150 e le 200 persone, circa 150 ad Hannover e Berlino e un centinaio ad Amburgo ed Essen. Manifestazioni anche a Muster, Dortmund, Brema e Bielefeld. Anche se i manifestanti erano agitati, i raduni si sono svolti pacificamente. Lo riferisce l’agenzia Dpa.
In Germania vivono milioni di immigrati turchi di varie generazioni e anche di etnia curda.
Frattanto, resta sullo sfondo l’accordo firmato a marzo con l’Ue, che ha di fatto bloccato l’afflusso di migranti in Grecia, riducendolo a una media giornaliera di poche decine.
Dopo il fallito golpe del 15 luglio, la Turchia ha chiarito che non vede margini per una revisione della normativa antiterrorismo, criterio incluso tra i 72 previsti da Bruxelles per l’esenzione dai visti dei cittadini turchi, il punto che rimane da attuare e che sta creando forti tensioni fra Ue e Ankara.
Erdogan sembra pronto al braccio di ferro. Martedì, Ankara ha annunciato di aver avviato il rilascio dei passaporti biometrici, soddisfacendo così un altro dei requisiti tecnici richiesti dall’Ue. Così, entro la fine dell’anno potrebbe arrivare il momento della resa dei conti. Senza una prospettiva concreta sui visti, Erdogan potrebbe far saltare il banco.
In Europa sia nelle istituzioni politiche sia nei movimenti popolari è diffusa l’ostilità all’accordo siglato dalla Ue con Ankare per blindare la rotta balcanica dei migranti, per questo l’intesa sembra avere un futuro ancora incerto.
Nelle ultime ore, è tornata a salire la tensione tra Ankara e Berlino. Un duro attacco è giunto direttamente da Erdogan, che ha accusato la Germania di essere «diventata un posto dove i terroristi si rifugiano», dopo che il ministro della Giustizia tedesco ha ipotizzato che potrebbe essere negata l’estradizione in Turchia di sospetti accusati per motivi politici: «Siamo preoccupati che la Germania, che ha preso sotto la sua protezione membri delle organizzazioni terroristiche Pkk (curdi) e Dhkp-c (marxisti), diventi adesso un cortile di Feto», la presunta rete golpista turca di Fethullah Gulen.
Sotto traccia, c’è anche l’irritazione di Ankara per la notizia - ancora senza conferme ufficiali - della concessione di un un ‘passaporto temporaneò all’ex direttore del quotidiano di opposizione laica Cumhuriyet, Can Dundar, bestia nera di Erdogan per lo scoop sul passaggio di armi degli 007 in Siria, ricercato in Turchia anche con l’accusa di legami con i gulenisti.