Sergio Mattarella ha sciolto le Camere Colloquio di un'ora con Gentiloni
Mattarella ha sciolto le Camere. Il presidente della Repubblica ha così ufficializzato la fine della XVII legislatura.
Dopo aver sentito i presidenti dei due rami del Parlamento, ai sensi dell’articolo 88 della Costituzione, il capo dello Stato ha firmato il decreto di scioglimento del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, che è stato controfirmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il Presidente #Mattarella ha firmato il decreto di #scioglimento delle Camere pic.twitter.com/M8bpT9wbHT
— Quirinale (@Quirinale) December 28, 2017
Subito dopo, comunica il Quirinale in una nota, il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica, Ugo Zampetti, si è recato dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati per comunicare il provvedimento di scioglimento delle Camere.
In precedenza, Mattarella aveva ricevuto il presidente del consiglio, Paolo Gentiloni, per un colloquio durato circa un’ora.
LA STORIA DELLA XVII LEGISLATURA
Il Consiglio dei ministri, a quanto si apprende da fonti di governo, ha approvato il decreto di indizione della data delle elezioni il 4 marzo, a seguito dello scioglimento delle Camere.
Lo si apprende al termine del Consiglio dei ministri da fonti di governo.
Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni porterà ora il decreto al Colle per la controfirma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Sono convocate per il 23 marzo le Camere per la prima seduta dopo lo elezioni. La seduta servirà a eleggere i rispettivi presidenti.
Cala il sipario sulla legislatura numero diciassette. Dopo aver ricevuto al Quirinale il premier Gentiloni e i presidenti di Camera e Senato, Sergio Mattarella ha sciolto le Camere. È l'atto finale che porta alle elezioni: gli italiani saranno chiamati alle urne domenica 4 marzo, poi le nuove Camere si riuniranno il 23 dello stesso mese per eleggere i presidenti. Ora l'Italia è davvero in campagna elettorale.
Da qui al voto resta a Palazzo Chigi Gentiloni: il suo governo non si è dimesso, i poteri non sono limitati all'ordinaria amministrazione. Insomma, le Camere chiudono i battenti, ma il governo non va in vacanza. «L'Italia non si mette in pausa, il governo non tira i remi in barca, continuerà a governare», ha spiegato il premier nella conferenza stampa di fine anno che ha preceduto di qualche ora l'epilogo della legislatura. Dietro la scelta di Gentiloni, condivisa con Mattarella, la quasi certezza che le elezioni non avranno un vincitore e che servirà tempo per formare un nuovo governo.
Anche Gentiloni lo ha dato per scontato: il premier non ha voluto dire se gli italiani lo ritroveranno a Palazzo Chigi come premier di un governo di larghe intese, ma ha sostenuto che anche senza un vincitore la situazione «potrà essere gestita» con «senso della misura e senso della responsabilità», come del resto è successo in Germania, Gran Bretagna e Spagna.
«Spero che il Pd abbia un buon risultato e possa essere la forza centrale del prossimo governo», ha detto ancora il presidente del consiglio, che ha insistito nel presentare il suo partito come l'espressione della «sinistra di governo». Una sinistra per la quale, stando alle sue parole, non dovrebbe essere impossibile dialogare con la sinistra-sinistra di Bersani.
Il bilancio che Gentiloni traccia di questo ultimo anno ha varie luci («oggi l'Italia è fuori dalla più grave crisi dal dopoguerra», ha detto) e una sola ombra: quella di aver lasciato «incompiuto» il capitolo delle leggi sui diritti, arenatosi sullo ius soli per un solo motivo: «Non avevamo i voti». Ma complessivamente il voto che si assegna è positivo: «Il mio governo non ha tirato a campare».
Qualche distinguo da Renzi, il premier lo ha fatto: su Visco e Bankitalia («il Pd aveva preso una posizione, io ho deciso diversamente») e anche sulla commissione banche («ho accolto con sollievo la conclusione delle sue audizioni, perché non sono state utilissime»). Ma ha difeso Maria Elena Boschi e ha detto di aver insistito perché «restasse al suo posto».
Ora comincia la campagna elettorale; anche Gentiloni vi prenderà parte («i governi non sono super partes») e punterà a far percepire il Pd come «forza tranquilla di governo» per cercare di recuperare i voti degli scontenti e dei disillusi.
Partito un anno fa in sordina, Gentiloni ora miete consensi. Anche Berlusconi ne fa l'elogio («è una persona gentile e moderata») e evita di attaccare il Pd: la sua campagna elettorale è tutta contro i Cinque Stelle «che sono un vero pericolo per la democrazia» ha sostenuto il leader di Forza Italia. Un fair play, quello di Berlusconi verso il Pd, non ricambiato da Matteo Renzi: per il segretario del Nazareno le promesse elettorali di Berlusconi (pensioni minime a 1.000 euro, reddito di dignità, riduzione delle tasse) costerebbero 157 miliardi, quelle dei Cinque Stelle «solo» 84: insomma «un disastro» o, in alternativa «una presa in giro degli italiani».
Di Maio scrolla le spalle: «Renzi dà i numeri. Comunque noi possiamo arrivare al 40 per cento e governare da soli».