Usa: senatore repubblicano blocca voto. Nuovo shutdown
L'America di Trump inciampa in un nuovo, imbarazzante shutdown, il secondo in meno di tre settimane. Dalla mezzanotte di Washington, le sei del mattino in Italia, tutti gli uffici federali chiudono, partendo da quelli meno essenziali. Probabilmente durerà poco, meno di quello precedente, ma questa volta il presidente non potrà dare la colpa ai democratici, che il 20 gennaio non avevano votato la legge di bilancio per il mancato accordo sui Dreamer.
A fare deragliare tutto a sorpresa è stato un senatore repubblicano, l'ex candidato presidenziale Rand Paul, un conservatore 'libertario' esponente dei Tea Party e contrario all'aumento del debito pubblico. Ha parlato ad oltranza per oltre sei ore bloccando il voto in Senato su un accordo bipartisan per un bilancio biennale che aumenterebbe la spesa di altri 300 miliardi di dollari, dopo il taglio delle tasse che causerà un 'buco' di 1.500 miliardi dollari in dieci anni.
Le regole del Senato consentono ai singoli membri di intervenire quanto vogliono, facendo così ostruzionismo. "Li posso tenere qui sino alle tre del mattino, mi devono ascoltare", aveva minacciato, deciso a proseguire la sua battaglia di principio sino a far scattare lo shutdown, pur nella consapevolezza che probabilmente l'accordo sarà poi approvato.
Paul è considerato un 'cane sciolto', ma ha dato voce ai 'falchi' nel Grand Old Party, da sempre il partito della responsabilità fiscale, del rigore dei conti pubblici. Falchi ampiamente presenti anche alla Camera, dove la leadership repubblicana conta sul sostegno dei democratici, pure loro divisi ma per altri motivi, in particolare per il mancato impegno a risolvere la questione dei dreamer, come aveva denunciato l'altro ieri Nancy Pelosi in un intervento record di oltre otto ore.
Quando in serata ha fiutato l'aria che tirava, la Casa Bianca aveva sollecitato le agenzie governative a prepararsi allo shutdown. Eppure questa volta sembrava che ci fossero le condizioni e i numeri per approvare l'intesa bipartisan senza troppi ostacoli. Un accordo di compromesso, che da un lato accontenterebbe Trump e il Grand old party, aumentando le spese militari di 80 miliardi di dollari nel 2018 e di 85 l'anno dopo; dall'altro i dem, con un incremento pressoché analogo (rispettivamente 63 mld e 68 mdl) delle spese non militari, come la lotta agli oppiacei, la copertura medica dei bambini poveri e gli investimenti in infrastrutture. Oltre a 90 miliardi di dollari per i danni causati da uragani e incendi in vari stati Usa, capitolo di spesa cui tenevano entrambi i partiti. Con l'impegno a discutere dei Dreamer in un secondo momento, ma prima che il 6 marzo scada il Daca, il programma per la loro protezione varato da Obama e cancellato da Trump.
Il Senato si riunirà nelle prossime ore per mettere al voto l'intesa, che poi dovrà essere approvata anche dalla Camera e firmata dal presidente, dopo l'ennesima figuraccia sua e di un partito sempre più diviso.