La resa di Macron non basta ai «gilet»
Ai gilet gialli che dopo tre settimane di marcia su Parigi chiedono le dimissioni del presidente e pensano a una lista per le europee, la resa di Emmanuel Macron non basta più. L'annuncio unilaterale di un rinvio di sei mesi degli aumenti di tasse da parte del premier Edouard Philippe è stato seguito da una nuova doccia fredda: «Siamo molto delusi, sabato saremo di nuovo a Parigi».
Hanno alzato il tiro, sanno di essere popolari e, nella partita a scacchi con il governo, nettamente in vantaggio. I gilet gialli vogliono dettare non soltanto l'ordine del giorno, ma anche il ritmo degli interventi: «Vogliamo tasse sui giganti del web, quelli che hanno le tasche piene di soldi - ha proclamato ai microfoni di Bfm-Tv una delle portavoci più gettonate questi giorni, Laetitia Dewalle -. Riequilibriamo la distribuzione della ricchezza, aumentiamo la patrimoniale, diminuiamo gli oneri sociali. La Francia non è un paese povero, la Francia è un paese ricco».
La rabbia dei gilet gialli si concentra sempre più sulla persona del presidente, e nelle ultime ore sulla sua scelta di non prendere pubblicamente la parola: «Emmanuel Macron ancora non si è degnato di parlare al popolo - ha accusato la Dewalle, annunciando che sabato il popolo in giallo sarà ancora in piazza a Parigi -. Avvertiamo da parte sua un disprezzo inqualificabile».
Lui, Macron, ieri è andato a visitare la prefettura di Puy-en-Velay, nel sud, incendiata sabato dai manifestanti. Al termine è stato fischiato e insultato da un gruppo di contestatori. E come se non bastasse, in un nuovo sondaggio è sceso ancora in popolarità, toccando il minimo del 23%. Il primo passo indietro del presidente - «Marche arriere» è l'hashtag che trionfava ieri sui social, ironia sul dietrofront di En Marche - aumenta le incognite sulla tenuta del governo e della maggioranza. L'Eliseo ha sottolineato tutto il giorno che non c'è alcuna rinuncia alle riforme, e si tratta proprio del punto debole di questo passaggio: «Noi volevamo l'annullamento degli aumenti di tasse sul carburante - ha commentato un altro dei portavoce, Benjamin Cauchy - siamo chiari: una moratoria è un affronto politico camuffato, significa prendere in giro i francesi e rimettere le tasse fra sei mesi».
Nel programma del presidente e nei suoi intendimenti sempre ribaditi c'è l'applicazione delle sue promesse elettorali, le riforme. Macron ha sempre detto di voler andare avanti laddove i suoi predecessori sono stati costretti a fermarsi, soprattutto Francois Hollande, che l'ecotassa non riuscì a farla passare e la mise da parte nel 2014 dopo la rivolta dei «berretti rossi», molto meno generalizzata e violenta dei gilet gialli. Soltanto qualche settimana fa, si riteneva che il momento cruciale della presidenza sarebbe arrivato nella primavera del 2019, con una riforma radicale delle pensioni sulla quale, finora, si sono infranti i progetti di tutti i predecessori di Macron. Un altro sondaggio rivela che per 7 francesi su 10 il rinvio delle tasse dovrebbe comportare la fine della protesta dei gilet gialli, ma le tre imposte di cui Philippe ha annunciato ieri il rinvio (accise sul carburante, aumenti di elettricità e gas, aumento sulla revisione delle auto) non hanno convinto la marea gialla. «Pacificare e riportare serenità nel paese» erano gli obiettivi enunciati dal premier con le sue misure che costeranno comunque 2 miliardi di euro alle casse dello stato, un decimo di punto di Pil.