Brexit, l'Ue non va oltre il 22 maggio
A una settimana dal baratro di una Brexit senza accordo (la data del divorzio è il 29 marzo), l'Ue si prepara a concedere al Regno Unito una miniproroga di due mesi, fino al 22 maggio. Non oltre. Un'estensione condizionata però a quello che a molti appare più come un miracolo che una possibilità reale, e cioè il via libera di Westminster all'accordo di divorzio, la settimana prossima.
Un'intesa che i Comuni hanno bocciato già in due occasioni e che ancora una volta non sembra avere una maggioranza a sostegno. Un miracolo soprattutto alla luce dell'ultimo attacco di Theresa May ( nella foto ) ai parlamentari, incapaci - a suo parere - di accompagnare il Paese verso un'uscita ordinata, dando seguito alla volontà popolare espressa col referendum. Il discorso della leader Tory ha acceso gli animi esacerbando una situazione già difficile, con prevedibili ripercussioni sulla nuova consultazione, che non ha ancora una data prevista.
A dare la misura di quanto profonda sia la spaccatura al Parlamento di Londra, anche la missione del leader del Labour Geremy Corbyn che si è precipitato a Bruxelles per incontrare il capo negoziatore della Ue Michel Barnier cercando di convincerlo della bontà del suo piano per scongiurare il caos e salvare Regno Unito e Unione.
L'alternativa all'estensione breve - che May aveva chiesto fino al 30 giugno, ma che i 27 colleghi le hanno concesso solo fino al 22 maggio, prima delle elezioni europee del 26 - per il momento è quella di una Brexit traumatica, lo avrebbe ammesso lei stessa. Nel suo lungo intervento per convincere i partner a concedere la miniproroga, May ha infatti spiegato di non essere disponibile ad organizzare il voto per l'Eurocamera, e soddisfare così la condizione richiesta per valutare rinvii più lunghi. E all'esame dei 27 la leader britannica è apparsa evasiva: non ha saputo indicare una data per il nuovo voto sull'accordo, né come pensa di arrivarci, o con quale maggioranza, lasciando dietro di sè uno strascico di timori e scetticismo.
Ad indicare quanto sia stretto e tortuoso il passaggio su cui la premier britannica si muove è stato il presidente francese Emmanuel Macron, che già prima dell'inizio del vertice ha invitato a guardare in faccia la realtà: se il terzo voto a Westminster fosse negativo «andremmo verso un'uscita senza accordo. Lo sappiamo tutti. Dobbiamo essere molto chiari in questo momento. Non possiamo andare a proroghe più lunghe che potrebbero avere conseguenze sul buon funzionamento dell'Ue e intaccare la nostra capacità di decidere e agire», ha avvertito il capo dell'Eliseo. Un atteggiamento intransigente in cui molti leggono un bluff. A fargli da contraltare è stata invece la sua più stretta alleata, Angela Merkel, che già dal primo mattino ha iniziato col suo mantra: «Lotterò fino all'ultimo minuto perché si arrivi ad un'uscita ordinata», interpretando lo stato d'animo di molti dei partner europei, che pur fiaccati nella pazienza e logorati dalla protratta attesa delle mosse di Londra, continuano a tenere duro.
Nonostante infatti le conclusioni del vertice Ue non facciano riferimento a possibili scenari, e cosa fare nel caso di una nuova bocciatura dell'accordo, i presidenti della Commissione e del Consiglio europeo Jean-Claude Juncker e Donald Tusk si sono detti pronti a convocare un nuovo vertice per la prossima settimana.