Coronavirus: lite continua tra Governo e Regioni Braccio di ferro con le Marche
Non c’è pace tra governo e Regioni sul fronte Coronavirus. Il clima non fa in tempo a rasserenarsi, dopo un nuovo scontro in mattinata tra il premier Giuseppe Conte e il presidente della Lombardia Attilio Fontana, che in serata riesplode il caso Marche. Perché il presidente Dem della Regione, Luca Ceriscioli, emana una ordinanza per chiudere le scuole fino al 4 marzo. Ma il governo è contrario: non era nei patti. Si cerca di bloccare l’iniziativa, e ieri sera ha deciso di impugnare il provvedimento.
Il Colle non interviene nei singoli episodi, né interferisce nei rapporti tra Stato e Regioni, ma Sergio Mattarella è presente, in contatto con il governo e i governatori. E auspica la massima collaborazione tra le istituzioni, quel «senso di responsabilità e unità» che aveva invocato sabato. Un messaggio sicuramente riportato anche al governatore Fontana sentito telefonicamente in mattinata.
«Collaborare, collaborare, collaborare», dice Giuseppe Conte dopo un’altra serie di riunioni nella sede della Protezione civile. Ma è caldissimo il fronte dei rapporti tra governo e Regioni nella gestione della emergenza Coronavirus. Al tavolo con i governatori siedono quasi tutti i ministri, per cercare una linea comune non solo per le aree di contagio, ma anche per le regioni oggi immuni. Si parte con le migliori intenzioni, Conte smorza le polemiche per le sue parole sulle falle dell’ospedale di Codogno. Ma le tensioni crescono e lo scontro si riaccende. Basta un accenno al caso Codogno («Inaccettabili le parole di Conte», dice l’assessore alla sanità lombarda Gallera). Basta che il direttore dell’Istituto nazionale di Sanità spieghi che le mascherine che il Dem Stefano Bonaccini - in asse con i leghisti Attilio Fontana e Luca Zaia - chiede di requisire, non prevengono il contagio. I toni si alzano, Fontana si ribella alle accuse, difende la sanità lombarda, attacca - secondo alcune versioni non confermate - il premier Conte: volano parole grosse. All’apice del diverbio, la delegazione lombarda butta giù il collegamento con Roma e lascia il tavolo.
Deve intervenire il ministro di Lodi, Lorenzo Guerini, a fare da paciere chiamando personalmente Fontana. Funziona: i lombardi tornano al tavolo mentre i tecnici vengono invitati da Conte a lasciare la stanza. I toni finalmente si placano, si torna a ragionare, a discutere di come collaborare. Ci si lascia con parole distensive pronunciate in pubblico e una intesa di massima sulle linee da tradurre in una nuova ordinanza che uniformi le misure delle Regioni che sono fuori dall’area del contagio.
Tutto bene? No, a quanto pare. In serata, proprio in nome della riunione di coordinamento fatta in mattinata, Ceriscioli annuncia l’ordinanza - che già Conte gli aveva bloccato lunedì - che chiude fino al 4 marzo tutte le scuole delle Marche. Una misura unilaterale assolutamente fuori dalla linea concordata dal governo. Si cerca di porre rimedio: sia il ministro dell’Istruzione Azzolina che il ministro della Salute Speranza sono contrari, non vogliono avallare. E così il governo ha deciso di impugnare la decisione.
Insomma, per ogni passo distensivo, scoppia un nuovo focolaio di possibile crisi politica. Buone notizie giungono per il governo dalla Camera, dove Lega, Fi e Fdi fanno trapelare il loro orientamento a votare a favore del decreto sul Coronavirus varato sabato scorso, fatta salva la richiesta di alcune modifiche. E, sempre in chiave distensiva, Salvini telefona a Conte. È il primo contatto dalla scorsa estate. Una conversazione formale, senza alcun accenno - dicono da ambo le parti - personale. Per dieci minuti si parla di Coronavirus: il leader della Lega illustra le proposte, contenute in una lettera al premier, per far fronte all’emergenza economica. Chiede di stanziare 10 miliardi e prolungare l’anno scolastico. Le sue proposte trovano ascolto. «Non si può continuare a sottovalutare», scrive poi su Facebook. Con Conte sigla non una tregua ma un inizio di collaborazione: c’è la volontà di collaborare. Basta polemiche, per qualche ora.